Sezione: Recensioni di Aldo Viganò

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Tutta la vita davanti

Anche se fallisce ancora una volta l’occasione di consegnare al fragile cinema italiano contemporaneo un’opera pienamente convincente, Paolo Virzì si conferma come l’unico regista italiano ancora capace di coniugare la commedia con uno sguardo sincero sulla realtà, la tensione etica con la sorridente rappresentazione, attraverso personaggi vitali, dei molti vizi e le poche virtù di un presente sinteticamente còlto: proprio come accadeva in quel cinema d’antan, qui amorevolmente citato attraverso l’evocazione di Straziami, ma di baci saziami.
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Nelle terre selvagge

Muovendo da una storia vera mediata in forma di romanzo da John Krakauer, Sean Penn torna alle sue ambizioni di regista – questo è il suo film 4 e ½, dopo Lupo solitario, Tre giorni per la verità, La promessa e l’episodio di 11 settembre – e centra l’opera che più gli somiglia. Un po’ pasticciata nella sua vitalità; ora ingenua sino al limite del dilettantismo, ma altrove molto sofisticata nelle sue scelte stilistiche e alternative; comunque sempre sincera e mai rassegnata alla banalità.
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Lussuria

Hong Kong, inizio degli anni Quaranta. La Cina è occupata militarmente dal Giappone e amministrata da un governo collaborazionista che ha il proprio uomo di punta nel freddo e implacabile Mr.Yee. Un gruppo di giovani attori legati alla resistenza decide di uccidere l’uomo politico e per poter far questo incarica una neofita, la bella Wong Chia Chi, di sedurre Mr. Yee, per attrarlo poi in un’imboscata, dove possa essere eluso il suo rigido servizio d’ordine.
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La promessa dell’assassino

Varcata la soglia dei sessant’anni, David Cronenberg (nato a Toronto nel 1943) si appresta a diventare un classico? La domanda viene spontanea dopo la visione di La promessa dell’assassino, che avviene a due anni di distanza da quella del bellissimo History of violence. Certo Cronenberg non cambia stile e tanto meno rinnega la personale ricerca svolta nei suoi precedenti lungometraggi e, nei limiti concessi, anche nei molti film realizzati per la televisione.
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Il nascondiglio

Negli ultimi anni, Pupi Avati sembra aver trovato una nuova giovinezza che lo porta non solo a una prolificità decisamente eccezionale nel cinema italiano d’autore, ma anche al rinnovato piacere di cimentarsi con le strutture narrative del cinema di genere, come accade in questo Il nascondiglio che, tradendo la sua amata Emilia Romagna, ha voluto andare a girare direttamente nella provincia statunitense: cioè, nella patria dell’horror contemporaneo.
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Giorni e nuvole

Silvio Soldini ama Genova e la città lo contraccambia offrendogli le migliori condizioni di lavoro, dapprima, e, poi, affollando la sala in cui il suo film si proietta, per uscirne infine soddisfatto della storia a cui ha assistito e, soprattutto, del rapporto tra questa e il paesaggio urbano entro il quale il regista le ha dato vita.
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L’abbuffata

Se Avati guarda con infantile nostalgia al cinema di genere, Mimmo Calopresti sceglie di coniugare con giovanile baldanza la sua vocazione documentaristica, con il disincantato ritratto dei sogni e delle speranze delle nuove generazioni, mosse sovente più dalla voglia di fare che dalla consapevolezza di ciò che stanno facendo.
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In questo mondo libero…

Dopo la divagazione nella storia della guerra di liberazione irlandese (Il vento che accarezza l’erba), Ken Loach torna a guardare verso la prediletta classe operaia. E lo fa come gli è più congeniale: affrontando l’argomento in modo diretto, mantenendo la cinepresa sempre addosso ai personaggi di cui racconta le vicende umane, rifiutando ogni fronzolo estetizzante senza per questo cadere nella trappola del didascalismo di stile televisivo. In questo mondo libero…(titolo volutamente ironico) parla di lavoro precario e di immigrazione dai paesi poveri a quelli più ricchi, di mano d’opera clandestina e di mancanza di adeguata regolamentazione sociale, del sottile confine che nel mondo capitalistico separa gli sfruttati dagli sfruttatori.
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