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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni di Aldo Viganò
Il nastro bianco
Nel raccontare la storia di un microcosmo rurale, radiografato alla vigilia della prima guerra mondiale, l’austriaco Michael Haneke consegna al grande schermo quello che sinora può essere considerata l’opera più compiuta della sua pluripremiata carriera di regista. Il nastro bianco conserva, infatti tutti i pregi dei suoi più celebri film precedenti (Funny Game e La pianista) – assoluta e maniacale precisione nel comporre le inquadrature, ottima capacità di dirigere gli attori, consapevolezza che è lo stile a determinare il senso del racconto – ma li libera quasi completamente da quel compiacimento estetico, sovente spinto sino al limite del cinismo, che troppo spesso incombeva sui suoi racconti di sesso e di violenza.
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Racconti dell’età dell’oro
Quattro leggende metropolitane per raccontare la Romania di Nicolae Ceausescu vent’anni dopo la sua condanna a morte e la sua fucilazione avvenuta il giorno di Natale del 1989. Quattro episodi (ma al festival di Cannes ne fu presentato uno in più) scritti da Cristian Mungiu (noto soprattutto per Quattro mesi, tre settimane e due giorni sul tema dell’aborto) pensando alla commedia all’italiana, con la quale il film – messo in scena da un pool di registi – condivide non tanto lo stile cinematografico, quanto l’intento satirico nei confronti di un’umanità fortemente condizionata dal clima sociale nel contesto del quale essa si trova a vivere.
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Basta che funzioni
Esultano coloro che sin dai primi anni Settanta impararono ad amare quel suo modo di fare del cinema con i personaggi che guardano direttamente in macchina per spiegare allo spettatore il senso della vita sullo sfondo carezzevole di una New York nevrotica e multirazziale: Woody Allen è tornato dall’esilio europeo nella “sua” Manhattan e, pur per interposta persona (al suo posto sullo schermo c’è il divo televisivo Larry David) e tirando fuori dal cassetto un vecchio copione scritto per Zero Mostel, torna a sciorinare battute a raffica e a portare in primo piano la sintesi della sua concezione dell’esistenza umana.
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Bastardi senza gloria
Per una volta almeno ai genovesi è sembrato di vivere in una vera città europea con un film (diciamolo subito: un grande film!) che esce contemporaneamente doppiato e nella versione originale con i sottotitoli. Complimenti quindi alla distribuzione e all’esercizio genovese, tanto più perché Inglourious Basterds è proprio una di quelle pellicole nelle quali è assolutamente impossibile separare ciò che si vede da ciò che si ascolta, come del resto anche la forma dal contenuto. Quella di Tarantino è un’opera estrema e assoluta, insieme possente e folle come solo possono esserlo quelle degli animi artisti dalla divinità di uno specifico talento.
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La custode di mia sorella
Amore e morte. Depositario di un’idea di cinema molto convenzionale nelle sue strutture narrative, l’ormai sessantenne Nick Cassavetes (figlio di John e di Gena Rowland) mescola i due ingredienti indispensabili a ogni melodramma con alcuni temi mediati dal contemporaneo dibattito bio-etico, e coniuga il tutto all’interno di un nucleo famigliare tipicamente americano, il quale viene sconvolto dalla malattia (una grave forma di leucemia) che colpisce Kate, la bimba primogenita di un pompiere (Jason Patric) e di un’avvocato (Cameron Diaz).
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Le ombre rosse
Radiografia di una sconfitta. Anzi, di un suicidio politico ed esistenziale. Giunto alla soglia degli ottant’anni, Francesco Maselli fa i conti con la forte probabilità di morire “berlusconiano”, ma invece di demonizzare l’avversario preferisce guardare dal di dentro la responsabilità che di questa tragica prospettiva ha la sua parte politica: vale a dire quell’estrema sinistra nella quale egli ha da sempre militato.
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Cheri
Poteva essere l’occasione di raccontare la Belle Epoque d’inverno, o almeno su uno sfondo autunnale coerente con quello in cui sta vivendo la cortigiana Lea de Lonyal (la sempre bella Michelle Pfeiffer), quando un’ex collega (Kathy Bates,in vena di gigioneria) le affida la cura del figlio scapestrato (il tenebroso e monocorde Rupert Friend), creando le premesse di uno squilibrato (almeno per età) amore destinato alla negazione del lieto fine. Ma, sempre più votato a un cinema decorativo, Stephen Frears porta sullo schermo i personaggi di Colette, immergendoli in un primaverile tripudio di giardini in fiore, di giganteschi cappellini decorati e di abiti di seta e di pizzo.
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Fortapasc
Inventata da David Wark Griffith e teorizzata da Vsevolod Pudovkin, esiste nella storia del linguaggio cinematografico una tecnica di montaggio, denominata Cross Editing o Cross Cutting, consistente nel collegamento di due scene simultanee, ma ambientate in luoghi diversi. Una tecnica che ha dato origine anche a una forma retorica della narrazione che, utilizzata in seguito da innumerevoli registi, ha raggiunto forse i suoi risultati migliori nel cinema di Fritz Lang (penso ad esempio a M – il mostro di Dusseldorf) e in quello di Francis Ford Coppola (dal finale di Il Padrino a Dracula), autori ai quali Marco Risi si è evidentemente ispirato nel mettere in scena Fortapasc: film che racconta la storia vera del giornalista “abusivo” Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il il 23 settembre 1985, all’età di soli ventisei anni.
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