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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni di Aldo Viganò
Il profeta
Il cinema “noir” francese sta vivendo in questo primo scorcio del secondo Millennio una nuova giovinezza. Ed ecco che, dopo i viaggi nell’inferno sociale ed esistenziale dei tutori della legge proposti dall’ex-poliziotto Olivier Marchal (36 quai d’Orfevre, L’ultima missione) e dopo il dittico criminale (Nemico pubblico n. 1: L’istinto di morte e L’ora della fuga) di Jean-François Richet, a quasi un anno dal Grand Prix della Giuria ottenuto al Festival di Cannes, giunge anche sugli schermi italiani questo bel film carcerario di Jacques Audiard, che al cinema si era sinora fatto notare soprattutto come sceneggiatore.
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Fuori controllo
Anche se tratto da un fortunato serial televisivo inglese e interamente girato nel Massachusetts, Fuori controllo è un film che ha il sapore di una rimpatriata australiana, nascendo dall’incontro tra un regista (Martin Campbell), un drammaturgo e sceneggiatore (Andrew Bovell) e un attore (Mel Gibson) che da quelle parti sono nati e si sono formati professionalmente. A questi poi si sono aggiunti un figlio d’arte dal nobile passato (Danny Huston), un grande attore del teatro e del cinema anglosassone (Ray Winstone, subentrato a Robert De Niro a riprese già iniziate) e un co-sceneggiatore smaliziato quale il bostoniano William Monahan, premio Oscar per The Departed.
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Shutter Island – Recensione Aldo Viganò
Giunto ormai a festeggiare le nozze d’oro con la regia cinematografica (sono infatti trascorsi cinquant’anni dal suo esordio con Vesuvius VI), Martin Scorsese non sembra aver ancora voglia di diventare un classico e, film dopo film, continua a mettere in gioco il suo indubbio talento, gettandosi in imprese che hanno il sapore dell’impossibile. Per Scorsese, il cinema non è mai negli argomenti affrontati, ma è innanzitutto una questione di sguardo, di ritmo e di strutture drammaturgiche.
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Avatar 3D
Se Apocalypse Now era stato il film che chiudeva in gloria il “secolo breve” del cinema hollywoodiano classico, Avatar non nasconde la propria ambizione di diventare per la nuova Hollywood il punto di partenza dei prossimi decenni (almeno), portando sul grande schermo contemporaneamente il passato e il futuro, la tensione verso un grande racconto epico che si concretizza nelle forme narrative ed estetiche di una tecnologia davvero sorprendente e magistrale.
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Invictus
Il fatto storico o noto a tutti gli appassionati di rugby, e non solo. Tra il 25 maggio e il 24 giugno del 1995, la repubblica del Sud Africa ospitò per la prima volta il campionato del mondo di rugby e, contro tutte le previsioni, lo vinse dopo una memorabile finale, con gli “all blacks” della Nuova Zelanda, conclusasi 15 a 12. Il Sud Africa era passato da poco dall’apartheid alla democrazia e motore di quella vittoria fu Nelson Mandela che, eletto presidente nel maggio dell’anno prima, fece di quella vittoria l’occasione della riconciliazione nazionale e internazionale, dando vita anche a uno dei momenti più emozionanti della storia dello sport, quando, indossando la maglia verde-oro e il cappellino degli “Springboks”, consegnò il trofeo nelle mani del capitano della squadra, l’afrikaner François Pienaar.
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La prima cosa bella
Paolo Virzì lascia le nevrosi e la solitudine esistenziale del “call center” (Tutta la vita davanti) e fa ritorno alla sua Livorno – la detestata e amata Livorno, già protagonista di La bella vita e di Ovosodo – per fondere, in un film appassionato e attraversato da un autentico amore per il cinema e per gli esseri umani, le due componenti narrative di quelle precedenti opere che si alimentavano evidentemente di ricordi autobiografici: la storia di una donna che attraversa l’esistenza trascinata da un’autentica voglia di vivere e quella di un bambino che cresce in rapporto al mondo che lo circonda, portandone inevitabilmente in sé i segni e le ferite delle esperienze fatte e del tempo che passa.
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Segreti di famiglia
Percorrendo come già fece Orson Welles una parabola rovesciata, Francis Ford Coppola vuole da alcuni anni trasformarsi da “tycoon” del cinema post-hollywoodiano in “filmaker” dell’età del digitale, andando così alla ricerca di un’altra giovinezza da quella che, muovendo dalla “factory” di Roger Corman, lo aveva portato a realizzare alcune delle opere cinematografiche più significative degli ultimi decenni del Novecento. Il risultato di questo percorso, già rintracciabile nell’impianto estetico e narrativo di L’altra giovinezza, è ora esibito in Segreti di famiglia, al punto di diventarne il vero soggetto.
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Nemico pubblico
Per accostarsi nel modo migliore a Nemico pubblico conviene subito mettere da parte alcune idee preconcette sul cinema di gangster. La cronaca c’entra poco, nonostante il film racconti con plausibile verosimiglianza gli ultimi anni di vita di John Herbert Dillinger, che tra il 1931 e il 1934 rapinò una trentina banche scorazzando tra numerosi stati del Midwest, uccise alcuni poliziotti, fu arrestato e fuggì due volte dal carcere, considerato un novello Robin Hood da molti lettori di giornale e un pericoloso nemico pubblico dai tutori dell’ordine, che contro di lui diedero vita anche a uno specifico bureau federale, riuscendo infine ad ucciderlo all’uscita di un cinema di Chicago dove aveva appena finito di vedere Le due strade (Manhattan Melodramma) con Clark Gable e William Powell.
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