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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni di Aldo Viganò
“Io, Daniel Blake” di Ken Loach
di Aldo Viganò.
Al centro dell’ultimo film dell’ottantenne Ken Loach, premiato a sorpresa con la Palma d’oro al Festival di Cannes, c’è la dichiarata difesa della dignità umana sul grigio sfondo di un Occidente capitalistico globalizzato, che tende a ridurre l’individuo a pedina non necessaria (anzi, sovente fastidiosa)
“Quando hai 17 anni” di André Téchiné
di Aldo Viganò.
A settantatre anni compiuti, André Téchiné – ex-critico dei “Cahiers du Cinéma” negli anni Sessanta e apprezzato regista francese con alle spalle più di venti film – torna al tema che gli ha dato notorietà internazionale: l’osservazione meticolosa (alternando immagini fisse con grande mobilità della cinepresa) della difficile via attraverso la quale i giovani giungono alla conoscenza di se stessi e della loro relazione con gli altri.
“Cafè Society” di Woody Allen
di Aldo Viganò.
L’ultimo film di Woody Allen, il suo quarantasettesimo come regista, ha la struttura narrativa di un melodramma ambientato nei rilucenti anni Trenta (che sono però anche quelli qui taciuti della Grande Depressione), tra i lustrini di Hollywood (prima parte) e quelli molto simili della malavita e dei ritrovi notturni di New York (seconda parte).
“I magnifici 7” di Antoine Fuqua
di Aldo Viganò.
Nel corso degli anni, i film western si distinguono anche dal rumore che fanno gli spari delle armi da fuoco: silenzioso ma con immancabile sbuffo di fumo nel cinema muto, tondo e ben definito nei decenni della classicità, sibilante e con lugubre eco nell’epoca dei prodotti “all’italiana”. Da qualche anno in qua, però, nel tempo dell’agonia del “genere”, complice probabilmente il “dolby digital”, quegli spari si sono fatti più meccanici e sempre meno umani
“Demolition” di Jean-Marc Vallée
di Aldo Viganò.
«Tutto sta diventando una metafora», scrive (rigorosamente a mano!) il protagonista di Demolition in un inciso della lunghe lettere da lui indirizzate all’ufficio reclami della ditta produttrice del distributore automatico nel quale è rimasto incagliato il sacchetto di noccioline scelto nel corridoio dell’ospedale dove è appena morta sua moglie.
“Il clan” di Pablo Trapero
di Aldo Viganò.
La dittatura militare argentina, inaugurata nel marzo 1976 dal colpo di stato del generale Jorge Rafael Vileda, ebbe ufficialmente fine con le elezioni del dicembre 1983 dalle quali uscì eletto il radicale Raul Alfonsin, ma già nel giugno del 1982, in seguito alla veloce sconfitta dell’Argentina nella guerra delle Falkland, la prossimità di questa fine era evidente.
“Un padre, una figlia” di Cristian Mungiu
di Aldo Viganò.
C’è sempre qualcosa di un po’ rigido e di eccessivamente programmatico nel cinema del romeno Cristian Mungiu; ma forse proprio per questo i suoi film piacciono così tanto agli accademici e alle giurie dei festival internazionali. Sovente più che ai “cinéphiles”. Ciò nonostante (lo dico subito onde evitare equivoci) il quarantottenne regista di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni e di Oltre le colline resta uno degli autori cinematografici europei contemporanei più interessanti,
“Sangue del mio sangue” di Marco Bellocchio
di Aldo Viganò.
A Bobbio, dove Marco Bellocchio organizza ogni anno un suo festival cinematografico, c’è uno storico e ormai fatiscente carcere mandamentale, operativo nel contesto architettonico del medievale Monastero di San Colombano, dove le celle delle suore furono adattate a luoghi di prigionia nel Settecento e tali rimasero sino al 1972, quando il carcere fu chiuso definitivamente. (altro…)