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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni
Munich
Dopo il silenzio di Francis Ford Coppola e di Michael Cimino, è ora di ribadire ad alta voce che Steven Spielberg è oggi il più grande regista hollywoodiano. Non solo il cineasta più potente, ma proprio il regista-autore nel senso più compiuto e più nobile del termine, capace di costruire sul grande schermo un universo originale e coerente attraverso un impressionante susseguirsi di opere insieme personali e universali.
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A History of Violence
Con questa “storia di violenza”, il trasgressivo e sovente sperimentale David Cronenberg si confronta con i temi e le modalità espressive della classicità. E ne esce vincente: consegnando al grande schermo un film forte, per molti versi sorprendente, sicuramente molto personale.
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Romanzo criminale
La parabola di tre amici dalla periferia di una grande città ai vertici della criminalità organizzata (come in C’era una volta in America); la cronaca delle imprese della banda della Magliana nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta (con il piglio pedagogico-spettacolare dei film di Carlo Lizzani); il melodrammatico intrecciarsi sullo sfondo della Storia di potere politico e malavita (come nel Padrino – parte III).
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La seconda notte di nozze
Lasciato da parte l’alquanto stucchevole elogio della mediocrità che ha caratterizzato i suoi ultimi film (Un cuore altrove, Ma quando arrivano le ragazze?), Pupi Avati torna a frequentare con La seconda notte di nozze il clima di dolce e dimessa follia che da sempre alimenta i suoi film migliori, e trova in Antonio Albanese l’immagine di quello che sarebbe potuto diventare Nick Novecento se fosse sopravvissuto trent’anni alla sua morte.
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Lord of War
La struttura narrativa ricalca quella di un documentario, con la voce fuori campo di Nicholas Cage che accompagna lo spettatore nel lucroso labirinto del commercio delle armi dopo la caduta del muro di Berlino; ma lo svolgimento stilistico spinge continuamente il film verso una curiosa dimensione fantastica, in cui realtà e apparenza, impegno civile e gioco autoriale continuamente si mescolano con esiti sovente sorprendenti.
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La fabbrica di cioccolato
Due sembrano essere i motivi di fondo che hanno spinto un regista-autore quale Tim Burton a portare sullo schermo la favola di Roald Dahl, già soggetto di un non memorabile “cult” di Mel Stuart. Da una parte, l’occasione di raccontare una storia in cui horror e cartoon (cioè, le sue due principali passioni) s’intrecciano in modo indissolubile sul ritmico sfondo del musical e, dall’altra, l’intuizione di fare di Willy Wonka, attraverso l’interpretazione dell’attore feticcio Johnny Depp, l’immagine dolente e tragica di un artista incapace di trovare quiete nel proprio corpo e nel proprio successo professionale.
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La damigella d’onore
Con il trascorrere del tempo, al ritmo oggi sapientemente cadenzato di due film ogni tre anni, Claude Chabrol tende sempre più ad avvalorare la massima che da decenni guida la sua attività di regista: “Nel cinema è la forma che crea il contenuto”. Anche La damigella d’onore, che giunge sugli schermi italiani mentre in Francia sta già per uscire il successivo La comedie du pouvoir, torna puntualmente a ribadirlo.
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The Interpreter
Passata l’ubriacatura degli anni Settanta quando si voleva vedere in Sydney Pollack un innovatore, si è ormai tutti (o quasi) d’accordo nel considerarlo soprattutto un solido “metteur en scène”, capace di raccontare con onesta diligenza una storia e di valorizzare la recitazione dei suoi attori: senza guizzi autoriali, ma con tanta professionalità.
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