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COME NASCE FILMDOC
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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni
Gli amori di Astrea e Celadon
Quando si parla dei film di Eric Rohmer, abbondano espressioni del tipo “cinema da camera”, “anacronismo d’artista”, “piccolo gioiello” e, da un po’ di tempo in qua, anche “irriducibile vegliardo”. Il fatto è che l’ex redattore capo dei “Cahiers du Cinèma” è sempre rimasto fedele a un’idea di cinema “puro” che affonda le proprie radici nella tradizione rosselliniana (la semplicità: un inquadratura trova giustificazione in se stessa e la si cambia solo quando è “necessario”), coniugata con quella hitchcockiana (la forma crea il contenuto) e sintetizzata intorno a una prospettiva estetica rigorosamente personale (la realtà dei personaggi si definisce interamente dentro alle coordinate spazio-temporali del linguaggio delle immagini).
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La masseria delle allodole
Varcata ormai da tempo la soglia dei settant’anni, i fratelli Taviani restano fedeli a una loro idea di cinema insieme letterario e sentimentale, brechtiano ed emotivamente coinvolgente, comunque sempre impegnato ad affrontare argomenti forti e non rassegnato ad appiattirsi sull’imperante minimalismo quotidiano.
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Centochiodi
C’è sempre qualcosa di anti-moderno nel cinema di Ermanno Olmi. Anche quando, come accade in questo Centochiodi, affronta temi di grande attualità (il rapporto tra fede e verità o tra religione e dottrina, tra vita ed erudizione), infatti, egli lo fa sempre con ritmi, tempi e angolazione di sguardo che nulla hanno a che fare con i modelli estetici del momento o con la primaria prospettiva della ricerca linguistica.
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Intrigo a Berlino
Il regista di Sesso, bugie e videotape rende omaggio al cinema in bianco e nero: cosa che oggi regala automaticamente a ogni film un’aureola autoriale, quasi allo stesso modo che i buchi dei tarli garantiscono a un mobile l’apparenza dell’antichità. E proprio un operazione “d’antan” sembra essere stata al centro dell’interesse di Steven Soderbergh nel mettere in scena questo The Good German, di cui firma anche sotto duplice pseudonimo la fotografia e il montaggio.
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Bobby
La genesi narrativa e l’impostazione ideologica di questa ricostruzione dell’ultimo giorno di vita del senatore Robert F. Kennedy, ucciso a colpi di pistola all’Hotel Ambassador di Los Angeles nel corso della campagna elettorale per le primarie democratiche del 1968, si esplicitano soprattutto alla fine del film, che segna l’esordio nel lungometraggio cinematografico dell’attore e regista televisivo Emilio Estevez, figlio di Martin Sheen e fratello di Charlie Sheen.
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Le luci sulla città
“Ormai sono vecchio – dice il cinquantenne Aki Kaurismaki – e non posso più permettermi di realizzare delle schifezze”. Cosa che in realtà, il regista finlandese non ha mai fatto, neppure quando in gioventù dava libero sfogo alla sua vena musical-goliardica, mettendo in scena la presa in giro di Stallone (Rocky VI) o le giocose variazioni sul tema della fuga in film folli in cui tutti si chiamano Frank (Calamari Union) o viaggiano dalla tundra agli Usa con improponibili ciuffi impomatati sulla fronte (Leningrad Cowboys Go America).
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Dreamgirls
Diventato grande negli studios hollywoodiani degli anni Trenta e Quaranta, con il trascorrere del tempo, il musical cinematografico americano si è evoluto uscendo per le strade, si è infiltrato nelle discoteche e si è anche contaminato con l’estetica del video-clip. Ha conservato sempre, però, come sua impronta distintiva l’uso essenzialmente narrativo della musica e delle canzoni, alle quali viene affidato non solo il compito di veicolare i sentimenti dei personaggi, ma anche quello di portare avanti l’azione scenica. Nulla a che fare con i siparietti esplicativi del cabaret o con i songs ideologici del brechtismo.
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The Departed – Il bene e il male
Guardando al cinema dell’Oriente, Martin Scorsese infonde un nuovo ritmo al proprio modo di fare del cinema, con il risultato di consegnare al grande schermo una tragedia moderna che comprende in sé il tema squisitamente cattolico dell’uomo come contraddittoria unità di Bene e Male, che solo l’assurda trascendenza della morte può risolvere. In questo senso, The Departed rappresenta un punto d’arrivo per il regista italo-americano che mette qui in scena in modo armonico la sintesi tra i tormenti etico-esistenziali di Mean Street, il dolente umanesimo di Quei bravi ragazzi e la titanica follia della pèrima parte di Gangs of New York.
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