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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni
“Logan – the Wolverine” di James Mangold
di Renato Venturelli.
Sorpresa! “Logan – the Wolverine” si presenta come il decimo film della serie X-Men, il terzo della serie Wolverine, il secondo diretto da James Mangold, eppure non ha assolutamente nulla a che spartire con tutta l’interminabile sequela di pellicole targate Marvel o DC, e caratterizzate per lo più (tranne rare eccezioni) da un tediosissimo cliché illustrativo digitale amato solo dai fan.
“Hell or High Water” di David Mackenzie
di Renato Venturelli.
All’ultimo festival di Cannes era passato nella sezione “Un certain regard”, adesso è candidato all’Oscar come miglior film, oltre che per la sceneggiatura, il montaggio e l’attore non protagonista (Jeff Bridges). Ma nelle sale italiane non abbiamo potuto vederlo, perché come molti titoli di genere – polizieschi, western, noir, thriller – che passano nei grandi festival, e che potrebbero quindi avere l’etichetta sia della qualità sia del grande pubblico, è stato scartato
“Split” di M.Night Shyamalan
di Renato Venturelli.
“The Visit” ci aveva ridato la speranza, con “Split” arriva adesso la conferma. E’ tornato M.Night Shyamalan, dopo un grande film incompreso come “E venne il giorno”, ma anche dopo i due effettivi fallimenti di “Il dominatore dell’aria” e “After Earth”.
“Il cliente” di Asghar Farhadi
di Renato Venturelli.
Ritorno in patria per Asghar Farhadi, che dopo la trasferta francese di “Il passato” torna a girare un film completamente iraniano, ricollegandosi a “Una separazione” e affondando in una storia privata costruita in modo da riflettere a più livelli sull’essere umano, sulla cultura iraniana, sulla sua situazione politica, sul rapporto tra la scena e la vita, sullo stesso racconto cinematografico.
“Fai bei sogni” di Marco Bellocchio
di Aldo Viganò.
Tre “tuffi” cadenzano lo svolgimento narrativo dell’ultimo film di Bellocchio. Il primo, anzi i primi sono quelli di Cagnotto e Di Biasi (credo alle Olimpiadi del 1970) che il bambino protagonista vede alla televisione e imita sul divano di casa, in un gioco infantile di cui ignora l’ironica forza imitatrice di un gesto materno che, pur tenutogli nascosto per molti anni, condizionerà tutta la sua esistenza.
“La ragazza senza nome” di Jean-Pierre e Luc Dardenne
di Aldo Viganò.
La ragazza senza nome è firmato dai fratelli Dardenne, ma sembra un film girato da un anonimo cineasta cresciuto nel mito del cinema dei due registi belgi, del quale sa restituire il tono e i ritmi, forse anche la sempre latente tensione tra realtà ed etica, ma mai riesce cogliere l’umana verità che sottende le migliori opere degli autori di Rosetta e di Il figlio.
“Neruda” di Pablo Larraín
di Juri Saitta.
Ambientato nel 1948, “Neruda” racconta la fuga che il poeta – all’epoca parlamentare del Partito Comunista – fece dalla dittatura di Videla e dalla polizia, che lo volevano arrestare per la sua appartenenza politica. Il tutto narrato dal punto di vista del detective a capo della missione Oscar Peluchonneau.
“Io, Daniel Blake” di Ken Loach
di Aldo Viganò.
Al centro dell’ultimo film dell’ottantenne Ken Loach, premiato a sorpresa con la Palma d’oro al Festival di Cannes, c’è la dichiarata difesa della dignità umana sul grigio sfondo di un Occidente capitalistico globalizzato, che tende a ridurre l’individuo a pedina non necessaria (anzi, sovente fastidiosa)