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SPAZIO CRITICO
IN COLLABORAZIONE COL GRUPPO LIGURE CRITICI CINEMATOGRAFICI
"Take Shelter", di Jeff Nichols
I LaForche sembrano una normalissima famiglia della provincia americana (siamo in Ohio) impegnata come milioni di altre a inventarsi una vita accettabile nel pieno dell'imperversare della crisi economica che sta attanagliando il mondo.
(di Furio Fossati)
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Sezione: Recensioni
I soliti idioti
Prevedibile, previsto e ampiamente confermato: ciò che funziona in TV perché sfrutta la forza devastante della gag compressa in un massimo di 4 minuti, se trasferito al cinema e diluito in un’ora e mezza di brandelli eterogenei, non ha capacità di reggere l’impatto e ogni effetto comico svanisce. Come già accaduto in molti casi analoghi del passato recente e remoto
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Johnny English – La rinascita
A otto anni dalla sua prima ed esplosiva comparsa sulle scene mondiali, torna a fare danni il più improbabile e surreale degli agenti segreti che Sua Maestà la Regina di Inghilterra abbia mai avuto al proprio servizio.
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L’omaggio in 3D del maestro tedesco all’arte di Pina Bausch.
Un film “per”, e non “su” Pina Bausch: sembra un sofisma, eppure in questa distinzione c’è tutto il senso della nuova opera di Wim Wenders. Pina 3D è infatti il capitolo postumo di un’amicizia nata trent’anni fa e interrottasi nel 2009, con la scomparsa della celebre coreografa tedesca.
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A Dangerous Method – Il fascino sottile dell’oralità
Sono pochi i registi che come David Cronenberg sanno tradurre in immagini concrete i concetti astratti. Eppure, sin dai tempi di Eisenstein è questa una delle ambizioni più alte del cinema. Cronenberg lo faceva già nei suoi horror giovanili (da Il demone sotto la pelle a Scanners), lo ricercava in modo linguisticamente provocatorio nei film più dichiaratamente sperimentali (basti citare Crash o eXistenZ) e dimostra oggi di perseguirlo con lucida
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Carnage – Sotto la cenere del perbenismo
La sfida di Polanski è dichiarata: fare del cinema in una stanza, muovendo da un testo teatrale sovrabbondante di parole, che rispetta le regole aristoteliche dell’unità di tempo, di luogo e d’azione. Due coppie s’incontrano in un monolocale perché devono risolvere una spinosa questione pedagogica, avendo il figlio di una di loro colpito al volto con un bastone quello dell’altra, rompendogli alcuni denti. Sono quattro persone dai modi educati e civili.
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Rudolf Jacobs, il tedesco partigiano
Era un ingegnere navale, era un tedesco di Brema, era un ufficiale della Kriegsmarine ed era, anche se solo per due mesi, un partigiano. Aveva 30 anni. Poi la sua machinenpistole s’inceppo la notte del 3 novembre del 1944. Era il momento sbagliato perché i resistenti, e lui con loro, avevano deciso di dare l’assalto ad un albergo di Sarzana trasformato in caserma di camice nere e in luogo di tortura.
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Melancholia – Umor nero e apocalisse
Due sorelle di fronte alla fine del mondo. È da questa angolazione catastrofica che Lars von Trier costruisce il suo film più intimo e autobiografico. “Justine c’est moi”, urla a gran voce l’eccentrico regista danese per tutta la prima parte di Melancholia, ma poi volta pagina e, rovesciando la prospettiva, non esita a identificarsi con la fragile razionalità di Claire. Lars von Trier condivide con Justine (Kristen Dunst) le contraddizioni comportamentali
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Drive
Quando un regista europeo ha la grande occasione di girare un film a Hollywood sfruttando così la cambiale in bianco regalatagli dalla notorietà nel vecchio continente, spesso si finisce con l’assistere a un appiattimento passivo e coatto sui più abusati cliché del già visto e anche il più nitido dei talenti rischia la retrocessione nel limbo dell’anonimato di mestiere. Non è certo il caso del 40enne danese Refn che, dopo aver diretto la trilogia di “Pusher”
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