Tre storie. Della prima è protagonista il professore Paul, malato di cuore, il quale, mentre è in attesa di trapianto, deve anche fare i conti con la determinazione della moglie Mary di riscattare con l’inseminazione artificiale i sensi di colpa di un aborto mal praticato. La seconda è quella di Jack, ex galeotto il quale cerca nel fanatismo religioso compenso a una vita di violenza, subita e temuta da moglie e figli.
La terza, infine, ha al proprio centro Christina che, a causa di un pirata della strada, perde in un sol tempo il marito e le due bionde figliolette. Tre vite unite proprio da questo incidente provocato da Jack, perché il cuore del morto finisce nel petto di Paul, il quale apparentemente guarito va alla ricerca di Christina e stabilisce con lei una relazione, mentre il tormentato Jack sceglie l’espiazione andando a costituirsi. La materia narrativa, sempe sospesa tra la vita e la morte, è con evidenza da cinema mélo e, come s’addice al genere, ha il suo culmine nel finale, quando in un crescendo drammatico i sintomi del rigetto si fanno evidenti, Paul si spara al cuore, Christina lo porta precipitosamente in ospedale, Jack cerca di assumersi tutte le responsabilità dell’accaduto… Si sta raccontando troppo? Certo, se il film avesse uno sviluppo narrativo lineare, non si dovrebbe perché una delle emozioni insite nel melodramma classico consiste proprio nella scoperta dei suoi continui intrecci narrativi tra sentimento e dramma.
Ma non è questo il caso in quanto la scelta estetica di fondo del regista messicano Iñárritu (Amores perros) è quella della destrutturazione del racconto, mescolando con un operazione meticolosamente studiata a tavolino le singole sequenze, a volte anche le stesse inquadrature, come se fossero le tessere di un puzzle che lo spettatore deve ricomporre. Il gioco un po’ meccanico dell’intelligenza prende così il sopravvento sulle emozioni. Come ben suggerisce il titolo (21 grammi è il peso che un corpo perde nell’atto della morte; è cioè il peso dell’anima, spiega un passaggio del dialogo), il film è interamente declinato sul crinale tra anima e corpo; ed è proprio su questo confine che i personaggi si aggirano come fantasmi, ciascuno contrassegnato da una non invadente, ma comunque esibita scelta cromatica: blu per Paul, rosso per Jack, rossoblu per Christina.
Si tratta di una linea di separazione inesorabilmente indefinita, dove il tempo e lo spazio cessano di essere precisi termini di individuazione: anche se poi, come accade quasi sempre in questi casi, Iñárritu sa benissimo che per raccontare il disordine è necessario procedere con un ordine rigoroso, quasi geometrico; magari ispirandosi un po’ a L’anno scorso a Marienbad e un po’ a I soliti sospetti. Quello che ne sortisce è un film abile anche se a lungo andare un po’ cervellotico.
Un film complessivamente ben girato e con un’ottima direzione d’attori. Un film dal quale, in fin dei conti, si esce con un interrogativo non risolto: anche se sicuramente meno abile e “autoriale”, non sarebbe stata più emozionante, e anche più vera, una messa in scena che permettesse un autentico gioco di rispecchiamento emotivo con quei personaggi e con quegli attori?
21 GRAMMI
(21 grams, U.S.A., 2003)
Regia: Alejandro González Iñárritu
Soggetto e sceneggiatura: Guillermo Arringa
Fotografia: Rodrigo Prieto
Musica: Gustavo Santaolalla
Scenografia: Brigitte Broch
Montaggio: Stephen Mirrione
Interpreti: Sean Penn (Paul), Benicio Del Toro (Jack), Naomi Watts (Christina), Charlotte Gainsbourg (Mary), Danny Huston (Michael), Clea DuVall (Claudia), Melissa Leo (Cathy), Claire Pakis (Laura)
Distribuzione: BIM
Durata: due ore
(di Aldo Viganò)