Per avere una prima idea di chi sia l’Howard Hughes di Martin Scorsese, il cinèphile può pensare a una sintesi tra il Charles Forster Kane di Quarto potere e il Preston Tucker del film di Francis Ford Coppola. Quindi, tra la fremente megalomania di un uomo che brucia nel fuoco delle proprie passioni un’eredità senza fondo e i fantasmi di un sognatore che guarda sempre troppo al di là del proprio tempo.
Una sintesi che avviene, però, entro le specifiche coordinate poetiche e stilistiche di un regista che dentro a ogni atto umano intravvede sempre il senso di colpa del peccato originale e che anche nei grandi eventi di un’esistenza “per eccesso” preferisce puntare l’occhio della sua cinepresa sulla drammatica intimità dei primi piani che scavano nell’anima. In fin dei conti, soprattutto questo è l’”Aviator” del titolo: un angelo decaduto che, attraverso il volo della propria vita individuale, cerca invano di risalire in cielo, perché a trattenerlo sulla terra c’è l’insopportabile malattia di un corpo che inquina e puzza, che nessun sapone potrà mai completamente cancellare e che neppure il latte riuscirà mai restituire al primigenio candore.
The Aviator è un film ricco e complesso, sotteso da un’autentica passione autoriale, che sarebbe un errore voler ridurre alla pur brillante biografia di uno dei personaggi più eccentrici del cinema, dell’industria e del costume statunitense del secolo scorso. Nato nel 1905 e morto nel 1976, Howard Hughes è stato il playboy hollywoodiano già mal raccontato da Dmytryk in L’uomo che non sapeva amare, è stato anche l’uomo solitario sfiorato da Demme in Una volta ho incontrato un miliadario o il trafficante d’armi e “il falsario della vita” evocato da Orson Welles nel suo ultimo film, F for Fake; ma il personaggio portato sullo schermo da Scorsese ha poco a che fare con questi precedenti, come del resto fore anche con il vero Howard Hughes.
Nel film, restano ovviamente la sua passione per gli aeroplani, la TWA e gli Hercules, Katharine Hepburn e Ava Gardner, il suo incrociare altri attori e attrici più o meno famosi (da Jean Harlow a Errol Flynn), i suoi discussi rapporti con le alte gerarchie militari e con alcuni politici, i film pur citati storicamente in modo alquanto confuso (e ignorando il ruolo fondamentale che per la loro riuscita estetica ebbe il grande Howard Hawks); ma l’Howard Hughes di The Aviator è soprattutto un personaggio che si definisce nell’incrocio delle fondamentali coordinate della filmografia di Scorsese: da una parte, la tensione etico-religiosa che sempre più è andata perdendo il conforto della Grazia presente nelle sue prime opere newyorkesi; dall’altra, il dichiarato amore per il cinema e la sua storia, che qui si coniuga non solo nella recitazione di DiCaprio, qui evidentemente modellata su quella di Orson Welles, ma anche nel compiaciuto uso del technicolor, nella costruzione di sequenze alla maniera “d’antan”. E se qualche volta, all’interno di questo sistema d’assi cartesiane si avverte un poco l’ingolfarsi dell’autonomia espressiva del film, ciò non impedisce certo a The Aviator di essere un’opera che emoziona e lascia un segno importante sulla via del cinema.
The Aviator
(idem – Usa, 2004)
Regia: Martin Scorsese
Sceneggiatura: John Logan
Fotografia: Robert Richardson
Musica: Django Reinhardt e Howard Shore
Scenografia: Dante Ferretti
Costumi: Sandy Powell
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Interpreti: Leonardo DiCaprio (Howard Hughes), Cate Blanchett (Katharine Hepburn), Kate Beckinsale (Ava Gardner), John C. Reilly (Noah Dietrich), Alec Baldwin (Juan Trippe), Alan Alda (senatore Brewster), Ian Holm (prof. Fitz), Jude Law (Errol Flynn)
Distribuzione: 01
Durata: 170 minuti
(di Aldo Viganò)