La vera Domino era la figlia di Laurence Harvey, attore inglese noto agli appassionati di cinema per una intensa carriera iniziata negli anni Cinquanta (era il protagonista del Romeo e Giulietta di Castellani) e proseguita sino alla morte, avvenuta nel 1973, con buon successo internazionale. Quando il padre morì, Domino aveva solo quattro anni.
Educata dalla madre, la modella Pauline Stone, nei migliori college inglesi, Domino si fa espellere più volte a causa della sua precoce consuetudine con la droga, le arti marziali e le armi. Dj a Londra, attrice a San Diego, vigile del fuoco al confine col Messico: la vita di Domino si consuma alla ricerca di se stessa, sino a quando, a 22 anni, si scrive a un corso d’addestramento per cacciatori di taglie: i “bounty hunters” che dai tempi del West evidentemente sopravvivono ancora oggi negli States di Clinton e dei Bush. Per lei, sono 300 dollari ben spesi. Domino vi conosce Ed Mosbey, veterano del Vietnam, e Choco, latinoamericano con qualche problema d’identità. Con loro forma un terzetto impegnato in più di cinquanta azioni, alcune anche molto pericolose, commissionate dalla “Celes King Bail Bond Agency” di Los Angeles. Sudore e sangue.
Domino spara e agisce con totale disprezzo della morte: propria e altrui. Continua anche a drogarsi, ma questo nel film è lasciato molto sullo sfondo, forse anche perché la vera Domino era sovente presente sul set ostentando proprio quella consuetudine con gli stupefacenti che la farà ritrovare morta in una vasca da bagno pochi giorni dopo la fine delle riprese. La biografia di Domino contiene il ritratto distorto di una generazione inquieta e come tale ha suscitato l’interesse dello scrittore Richard Kelly, autore anche della sceneggiatura. Ma più che a questa dimensione metaforica, il regista Tony Scott sembra essersi interessato alla dimensione caotica e confusa che caratterizza la sua esistenza, sortendone così un film che punta tutto sul ritmo, sull’azione, sul coinvolgimento dello spettatore in un thriller adrenalitico.
Quello che ne sortisce ha l’aspetto di un lungo video-clip, che del “genere” ha certo tutti i difetti esteriori, ma anche il non trascurabile pregio di una precisa unità stilistica: discutibile sin che si vuole per la sua esibita esteriorità, ma oggettivamente sempre più rara nel cinema contemporaneo. Nel forsennato gioco di flash-back e flash-forward che caratterizzano il racconto di una vita bruciata sul filo della morte, Tony Scott moltiplica le inquadrature e i raccordi di montaggio, inventa soluzioni figurative e angolazioni di ripresa sempre più eccentriche, costruisce un neo-manierismo sovente alquanto fastidioso. In fin dei conti, però, anche personale e forse anche corrispondente alla visione del mondo di un personaggio che identifica la propria esistenza con il lancio di una moneta: “Testa, vivi.
Croce, muori”. E in questo gioco, la protagonista Keira Knightley si getta con dura determinazione, ottenendo esiti sovente migliori al suo talento attoriale e trovando nel Mosbey di Mickey Rourke e nel Choco di Edgar Ramirez i giusti compagni di un’avventura all’interno di un cinema che non esita a surrogare il vuoto etico che lo caratterizza con l’esibizione estetica della propria virtuosistica perizia tecnica.
Domino
(USA, 2005)
Regia: Tony Scott
Sceneggiatura: Richard Kelly
Fotografia: Daniel Mindel
Musica: Rick Garcia, Harry Gregson-Williams, Jan Pomerans
Scenografia: Chris Seagers
Montaggio: Tony Ciccone, William Goldenberg, Christian Wagner
Interpreti: Keira Knightley (Domino Harvey), Mickey Rourke (Ed Mosbey), Edgar Ramirez (Choco), Riz Abbasi (Alf), Delroy Lindo (Claremont Williams), Mo’Nique (Lateesha Rodriguez), Ian Ziering (se stesso), Joe Nunez (Raul), Kel O’Neill (Francis).
Distribuzione: Eagle
Durata: 127 minuti
(di Aldo Viganò)