L’onestà dello sguardo è la dote principale di questo piccolo film che dal punto di vista narrativo s’ispira alla grande tradizione della commedia all’italiana (non a caso al timone della sceneggiatura c’è la mano di papà Scarpelli), ma che alla resa dei conti assomiglia troppo da vicino a uno sceneggiato televisivo. I temi classici ci sono tutti.
A partire dalla rappresentazione della Storia attraverso un’esperienza individuale (il 7 settembre 1943, un carabiniere di Civita di Terentola è incaricato di scortare a Venezia un detenuto in attesa di processo) sino alla rappresentazione di un’inevitabile presa di coscienza (come il tenente di Tutti a casa, anche il brigadiere Petroni entra nella Resistenza dopo di aver visto uccidere il suo compagno di viaggio); ma anche dal comico al tragico, dal bozzetto all’aspirazione del grande affresco collettivo. Roberto Cimpanelli – già autore del simpatico Un inverno freddo freddo, oltre che amministratore unico di un’importante casa di distribuzione cinematografica – è evidentemente un regista che ama il cinema come lo si faceva una volta: una storia, personaggi ben costruiti, attori capaci di farli vivere sullo schermo, un pubblico disposto a sentirsi raccontare quella storia.
Tutto molto semplice e onesto, appunto. Il viaggio del brigadiere (ben interpretato, si potrebbe dire per sottrazione, da Neri Macoré), che vive lo sbandamento dell’armistizio in compagnia di un truffatore napoletano ed estroverso (Vincenzo Salemme) e di una fidanzata (la generosa Elena Russo) sognante un viaggio di nozze continuamente rimandato, è raccontato da Cimpanelli con diligente nitore, tanto da indurre al sorriso e alla solidarietà che nasce dall’identificazione. Prima della scelta finale, ci sono puntuali le tessere di un mosaico che vogliono giustificarla: l’incontro con l’egoismo di chi pensa solo ai propri interessi (Marco Messeri) o con il candore della professoressa che ha scelto di prostituirsi per dare da mangiare ai propri figli (Mariella Valentini); la becera violenza dei repubblichini e quella più fredda e sadica dei nazisti; i mitragliamenti aerei e i cadaveri sulle rotaie, i fucilati nella cava, le notti nel pagliaio, la consolazione di un gotto di vino rosso, la pistola del partigiano che spunta dai pantaloni, le esecuzioni sul pontile come nell’episodio finale di Paisà.
Cimpanelli è uomo di frequentazioni cinematografiche per bene, tanto da avvolgere tutta la sua storia nella voce fuori campo della protagonista, come accade in La notte di San Lorenzo. Se bastasse questo, o anche solo il piacevole ricordo della voce di Rabagliati, il suo Baciami piccina sarebbe un film decisamente meritevole d’elogio. Purtroppo però, alla resa dei conti, sullo schermo resta infine un grande assente, che si rivela essere proprio il cinema, quello vero. La cinepresa di Cimpanelli accompagna i suoi personaggi, li accarezza, li guarda vivere, ma non sembra mai essere in grado di costruirli o di complicarli, anche di metterli autenticamente in rapporto con il paesaggio che attraversano. È una cinepresa timorosa più che discreta, incerta più che pudica. Strumento di un’idea di cinema che, forse inconsapevolmente, pensa già di finire i suoi giorni sul piccolo schermo domestico.
Baciami piccina
(Italia, 2006)
Regia: Roberto Cimpanelli
Sceneggiatura: Furio e Giacomo Scarpelli, da un’idea di Sergio Citti
Fotografia: Pasquale Rachini
Costumi: Liliana Sotira
Montaggio: Alessio Doglione
Interpreti: Neri Marcoré (Umberto Petroni), Vincenzo Salemme (Raoul Nuvolini), Elena Russo (Luisa), Marco Messeri (il possidente), Tosca (la cantante), Mariella Valentini (la “professoressa”), Vittorio Amandola (Attanasio), Augusto Zucchi, Sergio Di Giulio, Nicola Acunzo, Luigi Maria Burruano
Distribuzione: Medusa Film
Durata: 111 minuti
(di Aldo Viganò)