Anche se fallisce ancora una volta l’occasione di consegnare al fragile cinema italiano contemporaneo un’opera pienamente convincente, Paolo Virzì si conferma come l’unico regista italiano ancora capace di coniugare la commedia con uno sguardo sincero sulla realtà, la tensione etica con la sorridente rappresentazione, attraverso personaggi vitali, dei molti vizi e le poche virtù di un presente sinteticamente còlto: proprio come accadeva in quel cinema d’antan, qui amorevolmente citato attraverso l’evocazione di Straziami, ma di baci saziami.
La struttura narrativa di Tutta la vita davanti è quella ormai ampiamente collaudata da una lunga tradizione che fa capo a Mario Monicelli: un gruppo di persone riunito intorno a un’avventura che i limiti personali, congiunti all’intrinseca assurdità dell’impresa, conduce inesorabilmente verso la sconfitta. L’impresa è in questo caso quella di sopravvivere in un mondo del lavoro che nasconde la propria violenza di fondo sotto i sorrisi di circostanza, gli abiti griffati e i ritocchi di chirurgia estetica. Il luogo è un call center incaricato di vendere un inutile depuratore dell’acqua a sconosciuti detentori di un numero telefonico. L’imperativo per tutti è ostentare uno spirito vincente ed essere carichi come atleti alla vigilia di una vittoria sportiva.
La nevrosi, però, è sempre dietro l’angolo. Come registra lo sguardo attonito di Marta (Isabella Ragonese), neo-laureata in filosofia con lode e bacio in fronte, che in quel mondo precipita non trovando nulla di meglio da fare, dopo che il suo ragazzo ha accettato un posto di ricercatore negli States. La super siliconata capo reparto (Sabrina Ferilli) nasconde dietro l’efficienza del kapò aziendale la fragilità esistenziale di una solitaria mitomane, il principe dei venditori (Elio Germano) non regge al ritmo del successo obbligatorio, il mitico direttore (Massimo Ghini) ha una vita privata a dir poco disastrosa, la compagna di lavoro (Micaela Ramazzotti) alla cui figlia Marta fa da baby-sitter in cambio di un letto dove dormire perde il lavoro e accetta di prostituirsi, il sindacalista Valerio Mastrandrea è solo un idealista pasticcione, dai piccoli valori morali. Gli altri sono solo pedine di un crudele gioco al massacro, per cui chi non si adegua alle aspettative della produzione viene eliminato.
Sotto il sorriso, la tragedia: come in un atroce film di fantascienza. Ma il film vuole raccontare l’attualità, non il futuro: un presente cupo, ma probabilmente vero. Anche se un po’ schematico. Virzì esagera nell’assegnare a tutti i suoi personaggi una croce da portare, perché così facendo inesorabilmente li ideologizza, li imbriglia dentro a una visione del mondo precostituita, non li lascia vivere: li soffoca nella misura in cui li rende emblematici. E questo è il limite di fondo di Tutta la vita davanti, che pur conferma tutta l’acutezza di Virzì nel costruire ambienti e nel definire comportamenti. Ma non basta aprire spettacolarmente il racconto al sogno coreografato per dare respiro a un film, i cui momenti migliori si evidenziano quando la cinepresa non si preoccupa più di dire delle cose, e osserva solo i personaggi mentre vivono: per meglio dirle quelle cose. È allora che lo schermo improvvisamente s’illumina, lasciando intravedere lo scheletro di quel grande film che sempre ci si aspetta da Virzì e che probabilmente presto verrà.
Tutta la vita davanti
(Italia, 2008)
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesco Bruni e Paolo Virzì
Fotografia: Nicola Pecorini – scenografia: Davide Bassan
Costumi: Claudette Lilly
Musica: Franco Piersanti
Montaggio: Esmeralda Calabria
Interpreti: Isabella Ragonese (Marta), Sabrina Ferilli (Daniela), Elio Germano (Lucio 2), Massimo Ghini (Claudio), Micaela Ramazzotti (Sonia), Valerio Mastrandrea (Giorgio Conforti), Elena Arvigo, Claudio Fracasso, Federica Gori.
Distribuzione: Medusa
Durata: un’ora e 57 minuti
(di Aldo Viganò)