Si prende una dozzina di canzoni degli Abba, gruppo musicale pop che, dalla natia Svezia, ha conquistato il mondo, si dice, con 370 milioni di dischi venduti. Si cuciono insieme parole e note di questi orecchiabili motivi in una storia che chiama in causa due generazioni femminili, unite dalla comune tendenza a stabilire un legame di complicità con le proprie coetanee, considerando in fin dei conti i maschi solo un piacevole giocattolo o un oggetto di attrazione.
Si mescola il tutto nel montaggio dinamico e disarticolato, caro allo stile dei video clips anni Ottanta. Ed ecco Mamma mia!: uno spettacolo che, dopo i trionfi sui palcoscenici anglosassoni ha ora il suo inevitabile risvolto cinematografico, affidato alla stessa regista (Phyllida Lloyd, classe 1957, con alle spalle solo poche esperienze televisive), cui viene messo a disposizione (soprattutto per i ruoli dei personaggi “di una certa età”) un cast “all stars”, guidato da Meryl Streep che, liberata da Robert Altman, sembra aver scoperto insieme le proprie virtù canore e l’impudicizia di recitare anche con quella parte del suo corpo che sino a poco tempo fa aveva prevalentemente tenuta nascosta all’occhio della cinepresa.
È proprio la forza divistica di questo manipolo d’attori tuttofare che, insieme alle canzoni degli Abba, corre in soccorso dell’evidente vuoto di una regia tesa solo a surrogare nel ritmo forsennato la consapevolezza di non aver nulla da dire. Così facendo, consegna allo spettatore un film usa-e-getta, ma complessivamente piacevole. Certo un film come Mamma mia! si colloca agli antipodi della gloriosa tradizione del musical hollywoodiano, di cui ignora la regola fondamentale che le inquadrature devono avvolgere ed esaltare insieme i sentimenti dei personaggi e le virtù professionali dei suoi cantanti e ballerini. Certo ci vuole un certo sforzo a sopportare tutto quel prologo fatto di gridolini e mossette da ragazze pon-pon che accomuna madri e figlie, ma anche quei paesaggi da cartolina (l’azione si svolge su un’isola greca), quelle situazioni banali e quei tanti rallentamenti narrativi.
Ma se si sta al gioco di una convenzionalità sempre più palese, il film ha una sua piccola, e in fin dei conti positiva, funzione rilassante. E poco importa se i personaggi sono fondamentalmente stupidi, se la storia dei possibili tre padri invitati dalla ragazzina per accompagnarla all’altare non è raccontata con la necessaria follia, se la libertà sessuale della madre Meryl Streep (e delle sue due amiche ex-sessantottine) si stempera nel sentimentalismo e se i tre bravi attori convocati per fare le parti degli ex-amanti e potenziali papà (Pierce Brosnan, Colin Firth, Stellan Skarsgård) sembrano più volersi godere la vacanza che sforzarsi d’interpretare personaggi inesistenti.
Il fatto è che alla fine il ritmo riesce avere la meglio su tutto e le virtù professionali dei singoli interpreti emergono anche attraverso lo specchio rotto dello spezzatino d’inquadrature nel quale lo spettatore è costretto, senza un perché, vedere le immagini di chi canta (quasi sempre molto bene) o balla (quasi mai aiutato da una coreografia alquanto pasticciata) la gioia di vivere i propri pur banali sentimenti all’aria aperta del grande schermo. Come purtroppo sempre più speso accade nel cinema odierno, basta accontentarsi.
Mamma Mia!
(Mamma mia!, Usa – GB – Germania, 2008)
Regia: Phyllida Lloyd
Soggetto e sceneggiatura: Catherine Johnson
Fotografia: Haris Zambarloukos
Musica: Benny Andersson
Canzoni: Abba
Scenografia: Maria Djurkovic
Costumi: Ann Roth
Montaggio: Lesley Walker
Interpreti: Meryl Streep (Donna Sheridan), Pierce Brosnan (Sam Carmichael), Colin Firth (Harry Bright), Stellan Skarsgård (Bill Anderson), Julie Walters (Rosie), Dominic Cooper (Sky), Amanda Seyfried (Sophie Sheridan), Christine Baranski (Tanya), Rachel McDowell (Lisa).
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: un’ora e 48 minuti
(di Aldo Viganò)