Radiografia di una sconfitta. Anzi, di un suicidio politico ed esistenziale. Giunto alla soglia degli ottant’anni, Francesco Maselli fa i conti con la forte probabilità di morire “berlusconiano”, ma invece di demonizzare l’avversario preferisce guardare dal di dentro la responsabilità che di questa tragica prospettiva ha la sua parte politica: vale a dire quell’estrema sinistra nella quale egli ha da sempre militato.
Ambientato a Roma, tra l’autunno 2007 e la sconfitta elettorale dell’aprile 2008, Le ombre rosse è un film sofferto e dolente, sincero sino al limite del masochismo. Non un bel film, prigioniero com’è dall’ansia discorsiva essenzialmente extra-cinematografica, ma sicuramente un’opera personale, con il merito sia di porsi agli antipodi del minimalismo trionfante nella maggior parte della produzione nazionale, sia di ambire al racconto di una grande tragedia contemporanea. Il luogo intorno al quale ruota tutto il film è un centro sociale, emblematicamente denominato “Cambiare il mondo”, gestito da un gruppo di giovani alla periferia nord di Roma. Qui, un celebre scrittore (Roberto Herlitzka) in odore di Nobel, e prossimo a diventare curatore di una grande enciclopedia del Novecento, lancia per vezzo culturale più che per vera convinzione l’idea di trasformare quel grande edificio occupato in una Casa di Cultura, capace di attualizzare il modello a suo tempo proposto dal francese André Malraux.
Dalla televisione locale, la proposta rimbalza a quella nazionale, trova eco nella stampa progressista francese (cammeo di Laurent Terzieff nel ruolo del direttore di “Le Monde”) e italiana (con Lucia Poli, che ritrova nello scrittore un suo antico amante) e, tramite l’intercessione di un decrepito sindacalista (Arnoldo Foà), finisce sul tavolo di uno spregiudicato architetto (Ennio Fantastichini) che ha fatto del narcisismo la propria opera d’arte. Ovvio che, alle prese con “vecchi” di questo tipo, il centro sociale (metafora del rapporto tra la base progressista e il governo Prodi?) non potrà che essere stritolato, lasciando dietro di sé un tableau vivant di fantasmi (l’inquadratura dedicata alla sconfitta elettorale) e la solitudine dei pochi sopravvissuti tra le rovine dell’ideologia e della solidarietà sociale (l’appendice “un anno dopo”).
Dedicato alla memoria di Sandro Curzi, compagno del regista sin dai banchi di scuola, Le ombre rosse è il film di un vitale ottantenne, il quale si sforza di vedere il futuro nel mondo dei giovani, che però, in fin dei conti, non riesce a capire né nelle loro sconfitte esistenziali (l’autodistruzione del fondatore del centro sociale), né nelle loro ambizioni (gli enigmatici, lunghi primi piani dedicati al silenzioso Flavio Parenti, nel ruolo del segretario dello scrittore). Ciò che resta è, allora, solo il volto candido e pulito di Margherita (Valentina Carnelutti): colei che sin che può manda avanti la Comune e che tutti abbraccia con umana partecipazione. E con quella stessa partecipazione Maselli si accosta ai suoi personaggi, cercando di capirli (tutti) nonostante la loro futilità e gli evidenti errori che commettono.
Con un atteggiamento decisamente pregevole sul piano umano e intellettuale, se non fosse che egli si dimentica troppo sovente di lasciarli vivere, quei personaggi, con il risultato di soffocarli cinematograficamente, in un clima da lutto ideologico, che, non riuscendo a essere mediato dall’autonomia dell’arte, finisce anche col non concedere più spazio ad alcuna catarsi.
Le ombre rosse
(Italia, 2009)
Regia e sceneggiatura: Francesco Maselli
Fotografia: Felice De Maria
Scenografia: Marco Dentici
Costumi: Alessandro Bentivegna
Musica: Giovanna Marini e Angelo Talocci
Montaggio: Marzia Mete
Interpreti: Ennio Fantastichini (Varga), Arnoldo Foà (Massimo), Roberto Herlitzka (Sergio Siniscalchi), Valentina Carnelutti (Margherita), Flavio Parenti (David), Lucia Poli (Vanessa), Ricky Tognazzi (politico), Roberto Citran (l’editore Bergonzi), Luca Lionello (Stefano), Eugenia Costantini (Betta), Laurent Terzieff (direttore di “Le Monde”)
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: un’ora e 35 minuti
(di Aldo Viganò)