Se Apocalypse Now era stato il film che chiudeva in gloria il “secolo breve” del cinema hollywoodiano classico, Avatar non nasconde la propria ambizione di diventare per la nuova Hollywood il punto di partenza dei prossimi decenni (almeno), portando sul grande schermo contemporaneamente il passato e il futuro, la tensione verso un grande racconto epico che si concretizza nelle forme narrative ed estetiche di una tecnologia davvero sorprendente e magistrale.
Costruito come un western del futuro (l’azione si svolge nel 2154), Avatar è uno “spettacolone” in cui tutto si mescola e ribolle. C’è la storia degli Stati Uniti dalla conquista del West alla guerra d’Iraq. Ci sono gli indiani e gli astronauti, i politicanti cinici e i militari ottusi, ma anche gli idealisti. Ci sono L’amante indiana e Alien, Il dottor Stranamore e 2001 odissea nello spazio, Apocalypse Now (appunto) e I cancelli del cielo; ovviamente anche Terminator e Titanic. Perché Cameron pensa sempre il cinema in grande. E nel suo film tutto si mescola e si amalgama in un crogiuolo esplicitamente post-moderno, sortendone un film molto personale, dominato – anche nel racconto – dall’idea del doppio. Niente in Avatar è mai solo quello che appare, e l’uso quasi sempre sapiente del 3D giunge puntualmente a confermarlo. Non solo i protagonisti hanno un corpo “doppio”, ma doppio è anche il mondo che essi rappresentano.
“Gli uomini venuti dal cielo” nel pianeta di Pandora, attratti da un preziosissimo minerale che solo lì si trova, sono portatori sia di distruzione, sia del sentimento di una nuova civiltà. In quel universo astrale caratterizzato da una strettissima simbiosi tra esseri viventi (bipedi, cavalli e fiere, uccelli e alberi), infatti, non arrivano soltanto i bulldozer, gli elicotteri e le armi di distruzione di massa, ma anche la scienza e coloro che credono nella libertà e nella giustizia. E proprio su questa idea del “doppio”, James Cameron costruisce sapientemente un film che è insieme tradizionalissimo e rivoluzionario, fracassone ed ecologico, irruente e malinconico: uno spettacolo grossolano e una raffinatissima riflessione sulla storia del cinema e sul suo futuro. Avatar è un film che, comunque, non si può non vedere. E non perché ce lo dice il marketing (in questo caso invadente più che mai), ma soprattutto perché nei suoi fotogrammi a tre dimensioni e nella sua roboante colonna sonora passa l’idea della possibilità che possa esistere una sintesi estetica tra il blockbuster e il cinema d’autore.
Avatar 3D
(Avatar, Usa, 2009)
Regia e sceneggiatura: James Cameron
Fotografia: Mauro Fiore
Musica: James Horner
Scenografia: Rick Carter e Robert Stromberg
Costumi: Mayes C. Rubeo e Deborah Lynn Scott
Montaggio: James Cameron, John Reflua, Stephen E. Rivkin.
Interpreti: Sam Worthington (Jake Sully), Zoe Saldana (Neytiri), Sigourney Weaver (Dr. Grace Augustine), Stephen Lang (colonnello Miles Quaritch), Joel Moore (Norm Spellman), Giovanni Ribisi (Parker Selfridge), Michelle Rodriguez (Trudy Chacon), Laz Alonso (Tsu’tey), Wes Studi (Eytukan), Dileep Rao (Dr. Max Patel)
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: due ore e 42 minuti
(di Aldo Viganò)