Avrebbe dovuto essere a Venezia, The Ward di John Carpenter. All’ultimo minuto, però, i produttori hanno scelto di non far vedere il film ai “critici” in un festival d’arte come quello lagunare, preferendogli Toronto. Ossia temendo stroncature, i produttori nascondono il film per il quale hanno pagato il regista. Ultimo atto di una lunga serie di incomprensioni tra Carpenter e la produzione. Ultimo atto, se si vuole, di una frattura consumatasi fra il cineasta e i nuovi manager hollywoodiani, che hanno meno della metà dei suoi anni ma che pretendono di insegnarli il cinema (cosa purtroppo patita anche da John Landis con il suo ultimo strepitoso Burke & Hare, ladri di cadaveri). Come dire che ormai del cinema ci si vergogna.
Non è certo un mistero che Carpenter è da molti anni tentato di sottrarsi all’agone della produzione preferendo incassare facili assegni per improbabili remake dei suoi capolavori più amati. Eppure basta rivedere i due episodi della serie Masters of Horror per capire che il suo cinema non è mai stato così vivo. Che si è andato radicalizzando ed essenzializzando al tempo stesso. Assieme a Clint Eastwood, John Carpenter è l’ultimo detentore di un sapere cinematografico “americano”. Protetto dalla sua Malpaso, Clint riesce a dettare legge producendo con pochi soldi film che ne incassano molti in tutto il mondo. Carpenter, limitato ancora dall’etichetta di regista horror, fatica sempre di più a trovare soldi e sembra addirittura che si sia stancato del tutto di tentare di far decollare i suoi progetti. Carpenter è legato a Clint anche da un altro destino. Puntualmente, ogni volta che viene distribuito un suo nuovo film, ritorna la faccenda del “film minore”. Chi ha avuto il privilegio di seguire l’affermarsi del cinema carpenteriano in sala, si ricorderà bene che ogni nuovo film veniva puntualmente schiacciato su quello precedente. Anche titoli oggi intoccabili come Essi vivono all’epoca furono considerati “minori”. A ben pensarci, sarebbe come rimproverare a Howard Hawks che Rio Lobo non vale Il fiume rosso o a John Ford che Il grande sentiero non vale Sentieri selvaggi.
John Carpenter, oggi, insieme a Clint Eastwood, è l’ultimo detentore di un sapere cinematografico squisitamente “americano”. John Carpenter (con Clint) è l’unico luogo dove il pensiero del filmare coincide con il gesto del filmare; dove l’inquadratura è immediatamente politica perché inevitabilmente si pone come territorio del cinema. Il cinema di Carpenter è la notre musique. Carpenter è una certa idea del cinema americano proprio come Clint Eastwood ne è la pratica. Come è possibile che si riduca The Ward alla sua vicenda? Forse che Halloween è solo un film su un ammazzababysitter? Come è possibile non riconoscere nel magistero dei movimenti di macchina di The Ward la resistenza ultima del cinema americano? Carpenter oggi è l’ultimo in grado di rendere in immagini il rapporto tra il territorio, la mitopoiesi dei generi e la lucidità cartesiana che pone in relazione un’inquadratura con l’attacco di montaggio. Il cinema di Carpenter eccede il genere e il cinema stesso. Come Hawks, Carpenter è il cinema americano. Come nota acutamente Lorenzo Esposito nel suo volume Carpenter Romero Cronenberg. Discorso sulla cosa, “si è già visto come l’essere alla Hawks di Carpenter non è nell’esplicito omaggio-citazione al maestro, quanto invece nell’averne interiorizzato flessibilità, chiarezza, purezza, sobrietà, intelligenza, l’apparente invisibilità del tocco“. Esiste dunque un’evidenza del fare che coincide con la sparizione del cinema (il luogo dove affiorano i film “minori”). Carpenter è sublime in questo suo disparire. Cronaca di una sparizione dunque, come le bruciature di sigarette sulla pellicola. Sparizione epitomizzata in Avventure di un uomo invisibile, il più teorico e lucido saggio politico del cinema carpenteriano (con Ghosts of Mars) e non a caso rimosso.
Questa sparizione progressiva, questo tendersi al di là dell’immagine stessa, questa costante tensione a essere meno di un film per essere puro gesto di cinema, esaltata dai suoi cosiddetti lavori su commissione, e di cui The Ward esplode tutta la flagranza, è ciò che traccia la presenza di Carpenter cineasta. Ed è questa l’origine dell’orrore. Orrore non ripetibile. Unico. Come il gesto-cinema di Carpenter.
(di Giona A. Nazzaro)