Una vita tranquilla è l’ultimo film di Claudio Cupellini, ed è tutto ciò che il protagonista, Rosario Russo – Toni Servillo – aveva chiesto al suo destino. Rosario è stato un camorrista pluriomicida, ed è fuggito in Germania, dalle parti di Francoforte, dopo aver abbandonato il suo paese, la moglie e il figlio, per non essere a sua volta ucciso. Il racconto di Cupellini inizia quindici anni dopo: Rosario ha una nuova identità, una moglie tedesca e un figlio di nove anni. Tutte le persone del suo passato lo credono morto. Solo Diego, il figlio lasciato in Italia, conosce la verità.
Quasi A History of Violence, ma con Servillo e senza Cronenberg.
La storia ha inizio con una battuta di caccia al cinghiale che Rosario cucinerà nel suo ristorante, da Rosario, il giorno in cui il passato irrompe nella sua vita devastandola. Il cinghiale viene servito con i granchi ad avventori tedeschi. Non sappiamo se i granchi siano stati usati come antipasto o come contorno al cinghiale ma, data la bizzarria dell’accostamento, il dettaglio diventa irrilevante, come è irrilevante il fatto che i granchi preparati, a noi siano sembrati scampi. L’aiuto cuoco, tenacemente contrario a contaminare la selvaggina con i crostacei e viceversa, disquisisce a lungo circa le possibilità limitate che una cucina “mare e monti” può proporre: quando i monti si uniscono al mare, “tattalpiù possiamo parlare di funghi”. Rosario pone fine alla diatriba con una frase che non vorrebbe lasciare spazio a repliche: “questi sono tedeschi, si mangiano tutto”.
In realtà l’affermazione, oltre ad essere politicamente scorretta, non corrisponde più al vero, ormai da alcuni anni. Il piacere che il popolo tedesco trae dalla buona cucina va aumentando. La Germania è il secondo paese europeo, dopo la Francia, ad avere il maggior numero di ristoranti con le tre stelle della guida Michelin. E’ noto che la grande cucina ha un influsso positivo sulla cucina di base – o è la cucina di base ad influenzare l’alta cucina? -, comunque sia in Germania, mediamente, si mangia molto bene.
La selvaggina è parte della tradizione culinaria tedesca. Se proprio dobbiamo mangiare il cinghiale, il porco spinoso, come lo chiamavano gli antichi cucinieri, proviamo a prepararlo aromatizzandolo con erbe e frutti di bosco.
Per quattro: prendete un chilo di spalla e tagliatela a dadi, metteteli in una terrina con sedano, cipolla e carota tritate grossolanamente, uno spicchio d’aglio, salvia, timo, rosmarino e alcune bacche di ginepro. Coprite con del vino rosso e fate marinare per 24 ore. Scolate la carne e le verdure, rosolatele in una casseruola con un po’ di burro e olio extravergine, salate, pepate, aggiungete il vino della marinatura e fate cuocere a fuoco basso per circa due ore e mezzo. A cottura quasi ultimata aggiungete due etti di mirtilli. A questo punto potete provare ad abbinare degli scampi, magari lardellati: incideteli sul dorso, togliete il filo nero, metteteli in una teglia, copriteli con fettine sottili di lardo di Colonnata e passateli in forno a 180° per circa cinque minuti. Probabilmente è il modo migliore per rovinare sia il lardo che gli scampi, ma stiamo parlando di un abbinamento estremo. Consigliamo di servire il tutto con una fetta di polenta preparata con mais della varietà scura “otto file”, coltivato in Garfagnana e oggi anche in Lunigiana.
Ignoriamo i crostacei che saranno stati comunque sovrastati dal cinghiale e serviamo un grande Carignano del Sulcis.
(Antonella Pina)