“Cinecittà anni Trenta” di Francesco Savio riproposto da Adriano Aprà e CSC

di Gianmarco Cilento.

I volumi di interviste sul cinema si sono spesso rivelati molto più intriganti di qualsiasi saggio o volume critico sulla settima arte. Ne sono esempio lampante libri di grande popolarità come Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut, le conversazioni di Peter Bogdanovich con Orson Welles oppure, nel caso del cinema italiano, il monumentale L’avventurosa storia del cinema italiano di Franca Faldini e Goffredo Fofi, fino al più recente Alberto racconta Sordi di Maria Antonietta Schiavina.

Cinecittà anni Trenta è un caso a parte. Pubblicato da Bulzoni nel 1979 in un’edizione in tre volumi a cura di Tullio Kezich, il libro altro non è che la trascrizione di una raccolta di interviste radiofoniche ai protagonisti del cinema italiano del ventennio fascista, a opera del giornalista Francesco Savio, morto suicida nel 1976, poche ore dopo aver pubblicato beffardamente, su Il Messaggero, il suo stesso necrologio. Questa nuova edizione, a cura di Adriano Aprà, oltre ad esser stata editata nuovamente da Bulzoni, è stata pubblicata soprattutto grazie alla cooperazione con le Edizioni di Bianco e Nero del Centro Sperimentale di Cinematografia, all’interno di una ricca e assortita collana che a breve ci riserverà molte altre allettanti sorprese.

Savio, pseudonimo di Francesco Pavolini e nipote del gerarca fascista Alessandro (noto per essere stato uno dei cadaveri appesi a testa in giù a Piazzale Loreto, insieme a Mussolini), pianificò, a cavallo tra il 1973 e per tutto l’anno successivo, questa lunga serie di conversazioni con buona parte di quei personaggi, quasi tutti ancora vivi. Per il periodo preso in esame, che va appunto dal 1930 al 1943, le voci di figure come Alessandro Blasetti, Rossano Brazzi, Clara Calamai, Vittorio De Sica, Erminio Macario, Roberto Rossellini e di altri 110 tra registi, attori, sceneggiatori, operatori di macchina, scenografi, costumisti, musicisti e critici cinematografici, si aprono con estrema confidenzialità al microfono di Savio designando, con i loro racconti, un affascinante e arguto affresco del cinema e dell’Italia di quegli anni. Terminata quest’esperienza, il giornalista e conduttore senese diede alle stampe per Sonzogno un saggio sulla produzione cinematografica di quel periodo, intitolato Ma l’amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), uscito nel ’75.

Delle 116 interviste pubblicate nel volume, di 109 di esse si possono ascoltare alcune clip di trenta secondi sul sito dell’ICBSA (Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi). Delle altre sette non esiste la registrazione originale, essendo le stesse svolte a suo tempo in altri modi (forma scritta, ecc…). Nell’ottima introduzione a questa nuova versione, Aprà illustra non solo il fugace rapporto personale coltivato in quel periodo con Savio (del quale non esistono fotografie), ma anche le enormi complessità intraprese nel realizzare la trascrizione ex-novo delle registrazioni d’epoca. Perché se, infatti, la prima edizione si limitava ad una semplice riproposizione parola per parola del dialogo radiofonico (con tanto di esitazioni o punti di sospensione che denotavano le pause nel discorso), questa ristampa offre ai lettori una ritrascrizione migliore, più leggibile e fluida, accompagnata da una quantità di attentissime note a piè di pagina (assenti nella vecchia versione).

Soppresse quindi le pesantezze e i cascami della precedente edizione, Cinecittà anni Trenta è finalmente riproposto in una veste nuova, elegante e sfiziosa, dove a farla da padrone, sono finalmente i concetti, i contenuti e le spigolature nel racconto dei personaggi intervistati. “Un regista non deve mica lavorare per sé, ma per il pubblico, la grande folla al quale si rivolge, perché apprenda qualcosa, cammini sopra una strada piuttosto che che sopra un’altra, progredisca in un certo senso”, affermava Blasetti a Savio, riguardo alla visione del cinema che coltivava in quegli anni. Pur trattandosi d’informazioni di prima mano, il discorso dei protagonisti riesce ancora oggi a scavalcare, per attendibilità e meticolosità aneddotica, qualsiasi saggio o studio sulla grande produzione dei fasti della Cines o della Hollywood sul Tevere di Luigi Freddi. “Qualcuno un giorno farà una tesi di laurea mettendo a confronto la vecchia e la nuova versione di quest’opera”, ha osservato Alberto Crespi. Un’annotazione divertente che speriamo possa diventare realtà.

 

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