di Aldo Viganò.
Poco più di ventiquattro ore in una banlieue parigina, a bordo dell’auto di una squadra antidroga. Un film poliziesco che fa proprio lo sguardo documentaristico da sempre caro al suo regista (Ladj Ly), originario del Mali. Tra cronaca e premonizione dell’apocalisse, un’opera articolata e complessa che si alimenta della tradizione del “cinéma vérité” francese, ma non disdegna di guardare ai modelli d’oltreatlantico, affiancandosi all’esempio di “Joker” del premio Oscar Todd Phillips e a quel suo gusto un po’ ruffiano per la spettacolarizzazione della rivolta sociale.
Evidentemente, Victor Hugo è poco più di un pretesto: chiamato in causa solo di sfuggita nel dialogo tra i tre poliziotti di pattuglia (ma soltanto il nuovo arrivato sa chi sia, pur non avendolo mai letto) e ridotto a citazione di facile effetto pedagogico nel distico finale che precede i titoli di coda: «Il n’y a ni mauvaises herbes, ni mauvais hommes, il n’y a que mauvais cultivateurs» (“Non ci sono né cattive erbe, né cattivi uomini. Ci sono solo cattivi coltivatori”).
Poi, c’è ovviamente il titolo (“Les Misérables”) che campeggia all’inizio sulla folla che invade gli Champs Élysées e che però, in questo caso, si limita a far riferimento agli abitanti di una multietnica banlieue, i quali vivono ai margini della Capitale con le loro povertà economiche e morali, con la loro arte di arrangiarsi e con i riconosciuti centri di potere (legali o illegali che siano); soprattutto con i loro giovani diseredati che covano in segreto l’ansia della rivolta.
Il primo lungometraggio di Ladj Ly (premiato a Cannes 2019 per la migliore regia) è un film articolato in due parti stilisticamente molto diverse tra di loro, ma narrativamente complementari. La prima parte si esprime in immagini dal montaggio veloce, con camera in mano e inquadrature ravvicinate seguendo lo sguardo, insieme pavido e arrogante, dei componenti la pattuglia motorizzata, che attraversa a bordo di un’auto senza insegne le strade e i mercati di quella periferia, i cui abitanti abbiamo visto (già nei titoli di testa) affollare i boulevards parigini per festeggiare la vittoria della Francia al campionato del mondo di calcio del 2018.
Sullo sfondo dell’anonima banlieue, facciamo innanzitutto conoscenza, lentamente, dei tre tutori dell’ordine. Sono Chris: poliziotto esperto e violento (interpretato dal co-sceneggiatore Alexis Manenti), ma sovente disposto al compromesso, e Gwada: il suo collega di colore che dall’emarginazione di quel microcosmo multietnico proviene. Insieme ai due “veterani” esordisce quel giorno in pattuglia anche un giovane brigadiere (Stéphane Ruiz) alla sua prima esperienza in quel mondo a lui sconosciuto, dove il potere dello stato deve confrontarsi con quello laico dell’autoproclamato “Sindaco” e quello religioso di un commerciante che insegna il Corano ai giovani del posto.
Sembra una giornata come tante altre. Ma per motivi apparentemente futili, tra frustrazione del sogno infantile di un piccolo animale da accudire e individuale uso della modernità tecnologica, poco alla volta scoppia la rivolta che conduce così lo spettatore nella seconda parte del film.
Una rivolta violenta e organizzata, che trasferisce così il film da uno stile documentario ad un clima fantastico e orrorifico, elevando a nuovi protagonisti quei teenagers che finiscono così col ricordare quel popolo che più di un secolo e mezzo fa alzò le barricate nell’omonimo romanzo di Victor Hugo.
A innescare la rivolta dei ragazzini (e quindi ad aprire l’accesso alla seconda parte del film) c’è stato il furto di un leoncino nel circo degli zingari arrivati nei dintorni. Il capo dei gitani ne pretende l’immediata restituzione. Il “Sindaco” non vuole guai con gli stranieri che potrebbero turbare quell’equilibrio sociale faticosamente costruito. Il ritrovamento del cucciolo diventa così compito dei poliziotti, ma questi devono ben presto fare i conti con una prima ribellione dei ragazzini. Ne scoppia un parapiglia, nel corso del quale dalla pistola di uno dei poliziotti parte un colpo che ferisce un giovane, mentre dall’alto tutto viene ripreso dal drone-giocattolo, manovrato da un altro giovane dall’aria intellettuale. I fatti testimoniano che ormai l’ordine è irrimediabilmente perduto. Nonostante la buona volontà di alcuni rappresentanti del potere, nulla può più tornare come prima.
Anche se, con l’accordo del “sindaco e dell’imam, i tutori dell’ordine riescono a farsi restituire il cucciolo e la scheda video del drone, infatti, la miccia è di fatto già accesa. E, dopo una notte d’intervallo nel corso della quale la regia si sofferma a indagare la latente umanità dei rappresentanti della legge, tra petardi e bombe molotov, la “rivoluzione” scoppia. Inarrestabile e senza fine, come sottolinea il regista che sceglie infine di sospendere gli eventi in un fermo immagine, che nasce forse dal desiderio di un sequel subito annunciato ma per ora sospeso dall’evento del Covid 19.
Nel complesso, “Les Misérables” è un film sperimentale, che enuncia virtù e limiti delle sue immagini che scorrono sullo schermo. Un’opera prima capace di essere interessante e coinvolgente nel suo discorso di fondo, ma con non poche difficoltà a dare unità stilistica al proprio discorso cinematografico non riuscendo a risolvere, né sul piano estetico né su quello drammaturgico, le costanti incertezze tra narrazione e cronaca sociologica, tra documento sulle cause che provocano la rivolta e la rappresentazione della rivolta stessa. In poche parole, cioè, tra la l’autentica forza della cosa rappresentata e la significante autonomia della rappresentazione della cosa nella specificità del linguaggio artistico utilizzato.
I MISERABILI
(Les Misérables, Francia – 2019) regia: Ladj Ly – sceneggiatura: Ladj Ly, Giordano Gederlini, Alexis Manenti – fotografia: Julien Poupard – scenografia – Karim Lagati – musica: Pink Noise – montaggio: Flora Volpelière. interpreti e personaggi: Damien Bonnard (Stéphane Ruiz), Alexis Manenti (Chris), Djibril Zonga (Gwada), Issa Perica (Issa), Al-Hassan Ly (Buzz), Steve Tientcheu (il sindaco), Almamy Kanouté (Salah), Nizar Ben Fatma (lo spilorcio), Raymond Lopez (Zorro), Luciano Lopez (Luciano), Jaihson Lopez (Jaihson), Jeanne Balibar (la commissaria). distribuzione: Lucky Red – durata: un’ora e 43 minuti