di Renato Venturelli.
Il Torino Film Festival fa conoscere un altro, nuovo regista degno della miglior tradizione recente del cinema romeno: Eugen Jebeleanu, 40 anni, nato a Timosoara, formatosi soprattutto a teatro. Finora aveva interpretato solo qualche ruolo minore al cinema o in tv, ma con “Camp de Maci” (Campo di papaveri) esordisce nella regia in modo convincente, sia pure nel solco di uno “stile romeno da festival” sempre ai confini di un elaborato e raffinato manierismo.
L’argomento poteva essere di quelli particolarmente invadenti: l’impaccio, il nervosismo e la tensione che s’impadroniscono di un poliziotto omosessuale nel momento in cui deve confrontarsi col mondo esterno, e in particolare con i propri colleghi.
Dopo un incipit in cui lo vediamo incontrare il proprio amante, a introdurci al tema è una bella e lunga sequenza in cui la sorella del protagonista va a trovarlo a casa con la scusa di portargli del cibo preparato dalla madre, ma in realtà curiosa di infiltrarsi nella sua intimità, di conoscere il suo compagno, di inserirsi tra loro in quella che potrebbe essere una forma di condivisione ma che il poliziotto vive nervosamente come intrusione. Una scena di bella efficacia, in cui la macchina da presa si installa tra i volti, i corpi, gli spazi casalinghi cogliendo le diverse sfumature ma soprattutto trasmettendo anche con ironica leggerezza il senso di tensione, le contraddizioni nascoste.
Dopo quest’anticipazione, il film vivrà soprattutto negli spazi di una sala cinematografica, dove il protagonista è costretto a intervenire insieme ai suoi colleghi per un’operazione di polizia. Un gruppo di manifestanti nazionalisti e ultrareligiosi ha infatti occupato il cinema, bloccando per protesta la proiezione di un film a tematica LGBT.
Il clima in sala è già particolarmente teso per il confronto tra il pubblico e i manifestanti, i poliziotti intervengono in modo confuso e maldestro, ma soprattutto il protagonista viene affrontato provocatoriamente da uno spettatore con cui ha avuto in passato degli incontri, e che adesso rifiuta di riconoscere. Davanti alle avances dell’altro, che rischiano di smascherarlo davanti ai colleghi, il poliziotto finisce per colpirlo con un pugno al volto: e da quel momento verrà isolato dai compagni in una sala ormai vuota, alle prese con i propri fantasmi, le proprie contraddizioni, le questioni più profonde d’identità ancora irrisolte.
“Camp de Maci” è un film relativamente breve e conciso (81 minuti), capace di orchestrare gli spazi, la dilatazione dei tempi e le improvvise concitazioni, l’uso di quella sala cinematografica prima affollata e aggressiva, poi repentinamente vuota. Il tutto filmato in un materico 16mm da Marius Panduru, il direttore della fotografia di Corneliu Porumboiu, Radu Jude e di tanti altri autori della Nouvelle Vague romena, raccontandoci una società (la vicenda è ispirata a un autentico fatto di cronaca) attraverso le tensioni e le contraddizioni individuali dei personaggi: premio come miglior attore al TFF per il protagonista Conrad Mericoffer.