di Juri Saitta.
All’interno di un festival dedicato al cinema sperimentale e di ricerca come Flight – Mostra Internazionale del Cinema di Genova ha trovato spazio anche un’opera stilisticamente più semplice e tradizionale come Distant Constellation, documentario d’osservazione girato dalla regista turco-americana Shevaun Mizrahi.
Ambientato in una RSA di Instabul che si erge nei pressi di un cantiere in costruzione, il film in questione segue la quotidianità di alcuni ospiti della struttura, come per esempio i due amici che passano la giornata in ascensore o il vecchio fotografo ancora desideroso di eseguire alcuni scatti. Tutto ciò intervallato da alcuni incontri più vicini all’intervista, qualcuno di stampo umoristico (il paziente che fa una proposta di matrimonio alla cineasta), qualcun altro di argomento più storico e memoriale (la signora che racconta la propria testimonianza del genocidio armeno).
Nonostante la sostanziale struttura “osservativa” di tale lungometraggio, qui non siamo dalle parti del cinema di Frederick Wiseman, in quanto l’autrice opta per uno sguardo meno ampio (il film non mostra il funzionamento della casa di riposo, ma si concentra solo su alcuni suoi ospiti) e, soprattutto, più empatico e meno conflittuale. Qui, infatti, l’occhio di Mizrahi è molto umano e delicato, sempre affettuoso nei confronti dei soggetti ripresi, sia nei momenti più buffi (quelli dell’ascensore) sia in quelli più drammatici (l’anziano a letto che fatica a respirare).
Ma l’elemento più interessante dell’opera – e sul quale la regista avrebbe forse potuto insistere con più forza – consiste nella dialettica tra le due “costellazioni distanti” evocate dal titolo: la già citata RSA e l’attiguo cantiere in costruzione. Luoghi che non simboleggiano solo due distinte fasi dell’esistenza (la vecchiaia e la giovinezza, il passato e il futuro), ma sottolineano anche il desiderio impossibile dei “protagonisti” di uscire dalla propria vuota e piatta quotidianità per ritornare a vivere pienamente, come dimostrano le numerose e malinconiche inquadrature che raffigurano gli ospiti guardare al di là delle finestre, in quello che è un chiaro rimando ai sogni ormai non più realizzabili dei soggetti ripresi e alla loro nostalgia per un passato che non potrà più tornare. Mostrate molto spesso, le finestre sopra citate rappresentano inoltre sia delle aperture visuali sul mondo esterno sia delle barriere invalicabili su di esso, rendendo evidente che la RSA al centro dell’opera è per l’autrice una sorta di mondo a parte e a se stante, una specie di limbo, un luogo di transizione e di confine tra la vita e la morte.
E seppur concettualmente ed emotivamente distanti, il centro per anziani e il cantiere risultano limitrofi dal punto di vista spaziale, una vicinanza che può essere interpretata come un richiamo al flusso stesso della vita, dove convivono appunto ricordi di eventi passati e prospettive future, nostalgia di ciò che è accaduto e costruzione dell’avvenire.
Tutto questo in un documentario stilisticamente compatto e coerente che riesce a incanalare le proprie ambizioni simboliche e autoriali in una struttura discorsiva semplice e lineare che non rinuncia a toccare anche le corde emotive dello spettatore. Questo senza mai cadere nelle facili trappole della retorica, della compiacenza o del cinismo, ma mantenendo sempre uno sguardo sobrio e affettuoso.
Una serie di qualità che ha reso Distant Constellation uno dei titoli più apprezzati di Flight, come dimostrano i due premi assegnatogli durante la cerimonia di chiusura: quello del Gruppo Ligure Critici Cinematografici e la Menzione Speciale della giuria ACEC.
Distant Constellation
(Distant Constellation, Stati Uniti, Turchia, Paesi Bassi – 2017); Regia e Fotografia: Shevaun Mizrahi; Durata: 80 minuti.