di Juri Saitta.
Probabilmente il film più apprezzato della prima edizione di Flight – Mostra Internazionale del Cinema di Genova è stato Zumiriki del basco Oskar Alegria, che, infatti, ha vinto sia il riconoscimento più importante (il Gran Premio, andato a ex-aequo con Another World. Those who come by sea di Manuela Morgaine) sia il Premio ACEC, assegnato dai soci e dai frequentatori più assidui dei cineclub che hanno ospitato buona parte della manifestazione. Un successo che non sembra affatto casuale, in quanto il lavoro del regista spagnolo racchiude perfettamente lo spirito della manifestazione, dedicata al cinema di ricerca, autoriale e controcorrente rispetto ai codici e ai canoni che caratterizzano la maggior parte dei titoli del circuito mainstream.
Qui, infatti, ci troviamo di fronte a un film davvero libero e personale, girato con pochi mezzi e in piena autonomia, come dimostra anche il soggetto di partenza, dove il protagonista è lo stesso Oskar Alegria, il quale filma se stesso durante un’estate passata da solo in una capanna nei pressi di un fiume di fronte all’isola della propria infanzia, scomparsa anni prima in seguito alla costruzione di una diga.
Il risultato è una sorta di diario filmato apparentemente semplice e spontaneo, ma in realtà molto ricco e costruito. Infatti, se da un lato l’autore prepara e mette in scena diverse situazioni unendo talvolta realtà e immaginazione (si pensi alla scena della mucca nel bosco o a quella degli animali che lo vanno a trovare mentre dorme), dall’altro sfrutta massicciamente la sua voce narrante per commentare in modo poetico, ironico e colto (sono numerose le citazioni letterarie) i vari momenti da lui vissuti durante i mesi passati in mezzo alla natura.
Tutto ciò per portare avanti una riflessione sul rapporto uomo/ambiente e, soprattutto, sul tempo perduto: quello della propria infanzia, quello di una tradizione agricola/pastorizia ormai superata (si pensi ai tre anziani pastori in procinto di abbandonare la propria casa e la propria attività) e anche quello del cinema, come dimostra il ritrovamento di una vecchia pellicola basca alla quale manca il sonoro. Con Zumiriki, quindi, il cineasta spagnolo cerca in qualche modo di tornare indietro nel tempo per sospenderlo in una dimensione nella quale la modernità non è ancora emersa in tutta la sua forza devastatrice. Un intento, quello dell’autore, dimostrato dal suo ritorno nei luoghi distrutti dalla diga (e quindi dal “progresso”) ed evidenziato dall’orologio fermo appeso all’interno della capanna vicino al fiume, chiaro simbolo della volontà di Alegria d’interrompere lo scorrere del tempo e fermarsi, almeno per un momento, in un passato ormai remoto.
Una serie di tematiche affrontate con una certa generosità di trovate e d’idee, magari non sempre adeguatamente calibrate nei modi e nei tempi cinematografici (le due ore di durata sono a tratti eccessive), ma che risultano spesso stimolanti nei contenuti e creative nell’attuazione. E in questo caso conta molto di più la libertà e l’originalità con cui il film è stato pensato e realizzato piuttosto che il perfetto equilibrio dei vari elementi che lo compongono.
In ultima istanza, sono proprio tali qualità a rendere l’opera assolutamente aderente allo spirito di Flight, un festival alla ricerca di un cinema che sfrutta la propria libertà per portare avanti un discorso linguistico ed espressivo al tempo stesso intelligente e originale, profondo e personale, proprio come fa Oskar Alegria con il suo suggestivo lungometraggio.
Zumiriki
(Zumiriki, Spagna – 2019); Regia, Sceneggiatura e Fotografia: Oskar Alegria; Produzione: Emak Bakia Films; Durata: 122 minuti.