di Renato Venturelli.
Riecco la coppia di giovani fuorilegge in fuga, tra praterie e le cittadine di provincia del Texas negli anni Trenta della Grande Depressione: una di quelle coppie che all’epoca di Gangster Story univano lo sguardo sull’America e sulla Hollywood del passato con un’attualità pressante, quella della ribellione giovanile che trovava nello sfondo storico una sua proiezione mitologica, e quella di un cinema smanioso di scorciatoie per la modernità.
Oggi il rimando all’attualità è molto meno immediato, e gli anni Trenta non sono più un rimando diretto a quell’epoca, ma semmai al modo in cui gli anni Settanta l’avevano recuperata e le riletture successive l’avevano imbalsamata.
A rievocarla è stavolta la Margot Robbie di “Tonya”, nella doppia veste di attrice e produttrice. Ma la vicenda è raccontata dal punto di vista di un ragazzino del Texas, senza più padre, figliastro del vice-sceriffo, fanatico lettore delle riviste pulp e true crime che celebrano le imprese di investigatori e criminali. E Margot Robbie è una leggendaria rapinatrice di banche che ha (forse) appena compiuto una strage durante un colpo ed è adesso ricercatissima in tutta la regione.
Quando il ragazzo se la ritrova nascosta proprio nel fienile sotto casa, rimane immediatamente travolto dal doppio fascino avventuroso, quello dell’erotismo e quello del crimine, fino a farsi risucchiare in un’avventurosa fuga on the road. Più dei citatissimi rimandi ai Gangster Story o alla Rabbia giovane, il modello di riferimento potrebbe essere l’ottimo ma spesso dimenticato Femmina e mitra (1958), vale a dire The Bonnie Parker Story, produzione AIP anni ’50 dove la bionda esplosiva Dorothy Provine interpreta una cameriera del Midwest diventata rapinatrice, capace di dominare marito e amante, pronta a osare imprese sempre più audaci, ma con la consapevolezza di avere “un biglietto di sola andata: una volta che hai cominciato puoi solo andare fino al capolinea”.
Diretto dal Miles Joris-Peyrafitte di “As You Are” (altra storia di formazione, intrecciata in questo caso al mystery), “Dreamland” riesce a costruire efficacemente le sue atmosfere, ma fatica poi a stagliare i suoi personaggi in una dimensione davvero bigger than life: le potenzialità della figura trascinante di Margot Robbie restano così intrappolate in una regia perbene, estranea alle iperboli, dove la trasgressione resta solo evocata, come sogno impacciato di un ragazzino texano.