di Antonella Pina.
A Rainy Day in New York di Woody Allen ha aperto la 45ᵃ edizione del Festival del Cinema Americano di Deauville. Per festeggiare questi primi quarantacinque anni è stata chiamata a presiedere la giuria Catherine Deneuve, intramontabile icona del Cinema francese. Insieme a lei, per la serata inaugurale, sono saliti sul palco del C.I.D (Centro Internazionale di Deauville) i presidenti delle precedenti edizioni. Non tutti hanno accolto l’invito, ma tra coloro che lo hanno fatto c’era Roman Polanski, presidente nel 2003. Polanski si trovava quindi a Deauville quando ha appreso di aver ricevuto il Premio della Giuria al Festival del Cinema di Venezia per il suo ultimo film, J’accuse.
Le retrospettive, con relativo omaggio di una cabina sulle Planches, sono state dedicate a Pierce Brosnan, Geena Davis, Sienna Miller e Kristen Stewart. Ma il grande evento di questa edizione è stato l’arrivo di Johnny Depp, a Deauville per presentare Waiting for the Barbarians di Ciro Guerra, nella sezione Premières.
I film in concorso sono stati quattordici, con un livello qualitativo decisamente alto. Alcuni titoli erano già passati per il del Festival di Cannes, come The Lighthouse di Robert Eggers proposto alla Quinzaine des Realisateurs; Bull di Annie Silverstein e The Climb di Michael Angelo Covino presentati ad Un Certain Regard.
Alcune storie raccontate dal Cinema indipendente americano – e ricordiamo che i film in concorso al Festival di Deauville appartengono tutti a questa categoria – parlano di un’America che di solito rimane nell’ombra, lontana dai riflettori, spesso popolata da individui che lottano contro la solitudine, la paura o la povertà, ignari dell’esistenza di un sogno americano.
Molti film di questa edizione hanno avuto come protagoniste ragazzine adolescenti: violentate e filmate dai compagni di scuola (Share di Pippa Bianco); insidiate dal proprio padre (Mickey and the Bear di Annabelle Attanasio); sole a portare avanti la vita, avendo come unico possibile riferimento una madre in galera per droga (Bull di Annie Silverstein). Altri hanno mostrato la violenza nelle sue varie forme: il neonazismo (Skin di Guy Nattiv); l’emarginazione di un trans, soprattutto se nero, ancora oggi, perfino a New York (Port Authority di Danielle Lessovitz); la disperata solitudine di una giovane donna (Swallow di Carlo Mirabella-Davis), cresciuta con un insostenibile senso di colpa: aver causato l’infelicità della propria madre per essere stata concepita in seguito ad una violenza sessuale. La madre, integralista cattolica, ha categoricamente rifiutato l’aborto ma, pur sforzandosi, non ha potuto amare quella figlia non desiderata, condannandola, suo malgrado, ad odiare se stessa. C’era anche una commedia (The Climb di Michael Angelo Covino), con un incipit molto divertente girato nel sud della Francia e, naturalmente, ha vinto un premio!
La serata di chiusura del Festival è stata affidata a Wasp Network di Olivier Assayas.