“Peterloo” di Mike Leigh

di Aldo Viganò.

Con indosso una rossa divisa, il trombettiere di Sua Maestà (l’attore David Moorst) vaga frastornato il 18 giugno 1815 tra il fumo e le esplosioni sul campo di battaglia di Waterloo, dove gli inglesi con l’aiuto dei prussiani posero fine all’avventura napoleonica. Quattro anni dopo, il 16 agosto 1819, sempre avvolto nella sua scarlatta uniforme (probabilmente perché non aveva altro abito), egli viene trafitto dalla sciabola di un connazionale che carica a cavallo la folla di St. Peter’s Field a Manchester, dove con lui trovarono la morte altre quindici persone (i feriti furono centinaia) nel corso del massacro con cui si concluse la pacifica manifestazione del popolo, il quale, mobilitando anche donne e bambini, chiedeva, insieme al suffragio universale maschile, soprattutto cibo e migliori condizioni di vita.

Nell’arco narrativo di questi due avvenimenti storici (il secondo fu denominato “Peterloo” per storpiata assonanza con la vittoria di Waterloo), il settantacinquenne Mike Leigh sviluppa il racconto del suo ultimo film con il quale, dopo il precedente “Turner” dedicato all’omonimo pittore, torna a parlare del passato, con dichiarato ammiccamento al presente.

“Peterloo” è, infatti, un film storico che parla, al tempo della Brexit, della lotta di classe e della violenta sopraffazione dei ricchi sui poveri; della nascita della rivoluzione industriale e delle sue conseguenze sulle condizioni di vita dei proletari; delle aspirazioni ai più elementari diritti civili e dell’incapacità umana e politica di coloro che in Gran Bretagna gestivano (e gestiscono ancora) il potere.

Un film dalla evidente impronta ideologica, pertanto. Ma anche un’opera essenzialmente didascalica e un po’ manichea, che, pur impossibile da non condividere nei suoi contenuti storici, lascia la sensazione di quello schematismo pedagogico che appartiene a molti sceneggiati televisivi.

A differenza dei migliori film precedenti di Leigh, “Peterloo” è un film senza sfumature o autentiche tensioni drammatiche. Anche privo di quell’allegorico sgomento umano che pur lasciava appunto supporre la cornice narrativa del trombettiere di rosso vestito sul duplice campo di battaglia: quello del più clamoroso trionfo internazionale dell’Inghilterra e quello, bagnato di sangue,  della più vergognosa giornata della conclamata democrazia nazionale.

Il risultato è, in fin dei conti, solo un film appiattito sulla vicenda che racconta, pur nella mai dismessa capacità del regista inglese di dirigere i propri attori.

Ma anche un film che ha molte difficoltà a far vivere in modo autonomo propri personaggi, diversamente da come accadeva ad esempio in “Segreti e bugie” o in “Another Place”, proprio dalla esibita finzione del recitare, dando loro così una sorprendente verità cinematografica.

Verità, appunto, che nelle due ore mezza di “Peterloo” corre invece sovente il rischio di essere soffocata nel calligrafismo, se non altro per le numerose citazioni dei quadri e delle stampe d’epoca; finendo quasi sempre col restare delegata soltanto alla minuziosa ricostruzione degli avvenimenti storici. Senza riuscire mai ad elevarsi a quella autentica sospensione dell’incredulità, nella quale consiste, al cinema come nelle altre forme espressive, la vera rappresentazione artistica della realtà.

Tutto questo fa sì che, nonostante tutto il suo impegno civico e le sue dichiarate buone intenzioni, a “Peterloo” manchi proprio la caratteristica che più ambisce a raggiungere: cioè, una vera tensione epica.

Basti notare come la sequenza più fiacca e generica risulti essere proprio il massacro finale. Mentre anche la consueta abitudine di Mike Leigh di mantenere la cinepresa sempre troppo addosso ai personaggi, ottiene di fatto soprattutto l’esito di dilatare i tempi della narrazione, obbligando questi personaggi a una non sempre espressiva presenza sullo schermo: più che contribuire a farli veramente conoscere allo spettatore: rendendoli cinematograficamente accattivanti.

  

PETERLOO

(“Peterloo”, GB 2018)  regia e sceneggiatura: Mike Leigh – soggetto: Jacqueline Riding –  fotografia: Dick Pope – musica: Gary Yershon – scenografia: Suzie Davies – costumi: Jacqueline Durran – montaggio: Jon Gregory. interpreti e personaggi: Rory Kinnear (Henry Hunt), Tim McInnerny (principe reggente), Karl Johnson (lord Sidmouth), Neil Bell (Samuel Bamford), John-Paul Hurley ( John Saxton), Philip Jackson (John Knight), Tom Gill (Joseph Johnson), Johnny Bryom (John Johnson), Danny Kirrane (Samuel Drummond), Nico Mirallegro (John Bagguley), Victoria Moseley ( Susannah Saxton), Dorothy Duffy (Mary Fildes), Maxine Peake (Nellie), Rachel Finnegan (Mary), Pearce Quigley (Joshua), Simona Bitmate (Esther), David Moorst (Joseph), Vincent Franklin (rev. Charles Etlhelson), Philip Whitchurch (col. Ralph Fletcher), Martin Savage (James Norris), Jeff Rawle (rev. William Hay), Ian Mercer (Joseph Healey), David Bamber (magistrato Mallory), Alastair Mackenzie ( gen. sir John Byng), Robert Wilfort (lord Liverpool), Joseph  Kloska (Richard Carlyle), Tom Meredith (Robert), Stephen Wight (Oliver), Victor McGuire (Nadin). distribuzione: Academy Two – durata: due ore e 34 minuti

 

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