L’ultimo dominatore dell’aria, film che M. N. Shyamalan ha tratto dal cartone Avatar – La leggenda di Aang, ha subito un trattamento critico tremendo. Un linciaggio che, partito dai fan del cartone si è esteso a macchia d’olio, tanto da comprometterne addirittura, in un primo momento, l’ipotesi di una distribuzione italiana. A leggere commenti e opinioni su siti e forum, era lecito immaginarsi una catastrofe. Un tentativo abortito di sintonizzarsi sui gusti del pubblico dopo i deludenti risultati economici ottenuti da Lady in the Water e The Happening.
C’è da sorprendersi quindi che la prova della visione smentisca totalmente le prefiche che annunciavano sadiche il tramonto precoce del talento di Shyamalan? No. L’ultimo dominatore dell’aria non solo è un film calato completamente nella poetica del regista, ma ne mette in luce la straordinaria capacità compositiva. Teso liricamente fra la reinvenzione dei quattro elementi – aria, acqua, terra e fuoco – Shyamalan compone un potente e raffinato affresco visivo che richiama alla memoria sia le Ombre bianche di Nick Ray che le battaglie sul ghiaccio di Eisenstein. Con una sapienza visiva degna di un Alexander Korda e Michael Powell, Shyamalan cala i suoi personaggi in ambienti esaltati dai campi lunghi creando un universo coerente e originale. Evidente che al regista non è stato perdonato l’approccio “serio” a una materia ludica, ma L’ultimo dominatore dell’aria appartiene senza ombra di dubbio alle opere maggiori del regista di Philadelphia. Un film sul quale si faranno i conti anche in futuro. Attendiamo i rivalutatori d’ordinanza.
Destino critico inverso quello di Sylvester Stallone. Sbeffeggiato da sempre, si ritrova da qualche tempo vezzeggiato non solo dai cinephile più estremisti ma anche onorato con un prestigioso premio alla carriera dalla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Laddove Shyamalan è stato rapidamente esaltato e altrettanto velocemente ridicolizzato, Stallone, fedele alla sua natura operaista, agli insulti c’ha fatto il callo. Ma, proprio come i suoi coriacei alter ego Rocky e Rambo, Stallone non si abbatte facilmente. Ultimo baluardo di un cinema analogico in ambiente digitale, Stallone, con la caparbietà di un autentico auteur resta fedele a un’idea di cinema muscolare e intimista al tempo stesso di cui I mercenari si offre come l’insuperabile summa poetica e politica. Recupera i corpi da macello degli straight to video degli anni Novanta e mette in scena un apologo della vecchiaia che tritura con sublime eleganza la cialtroneria dei film Cannon più charmant, l’ironia del body cinema anni Ottanta e la divertita metatestualità di Joel Silver. Senza contare la chiarezza di un montaggio veloce ma mai eccessivo e la furia anti establishment. Al momento ce ne sono pochi in circolazione di cineasti così genuinamente intellettuali come Stallone.
(Giona A. Nazzaro)