di Aldo Viganò.
Francia anni Novanta. L’estate in un paesino della costa mediterranea. Una famiglia allargata di origine tunisina, risultato di una emigrazione non recente. Amori giovanili e tradimenti. Amicizia e serate trascorse in discoteca. Giornate al sole sulla spiaggia, portandosi il mangiare da casa. E divagazioni in campagna per accudire agli stalli ovini o, anche, per fotografare la nascita di una coppia gemellare di agnelli. Il tutto filtrato attraverso lo sguardo di un giovanotto in vacanza, ma cresciuto in quel posto, il quale studia a Parigi e ha ambizioni artistiche nel campo cinematografico, mentre nel frattempo campa facendo qualche lavoretto nel sottobosco della ristorazione.
Uno sguardo, quello del protagonista di Mektoub (si dice significhi “Destino”), nel quale il quasi cinquantenne regista, quello di La vita di Adele, tende a identificarsi in modo quasi autobiografico (ma il film è tratto da un soggetto indipendente), facendo della pellicola una sorta di diario melanconico, venato di nostalgia, cui dovrebbero far seguito altre puntate, almeno se si dà fede a quel sottotitolo: “Canto Uno”.
Nostalgia del passato e nostalgia della propria giovinezza. Rimpianto di forme di vita che forse non esistono più, raccontate con uno stile quasi documentaristico. Lunghi piani sequenza con inquadrature sempre troppo ravvicinate. Conversazioni intrecciate, colte come di sfuggita. Qualcuno a proposito di Mektoub ha parlato di uno stile alla Rohmer (Eric), ignorando però alcune differenze fondamentali tra il cinema del regista di Pauline à la plage e quello di Adellatif Kechiche. Infatti. mentre il colto e raffinato ex critico dei “Cahiers du Cinéma” faceva vivere i propri personaggi (in particolare quelli femminili) dentro a fitti dialoghi che ne esaltavano sopratutto l’intelligenza, la cultura e le sfumature sentimentali, la cinepresa di Kechiche non fa mistero di essere soprattutto innamorata delle rotondità posteriori delle sue protagoniste, sulle quali si sofferma ora ponendole in primo piano e ora isolandone il particolare mentre si agitano sulla pista da ballo. Da una parte, il gioco razionale dell’amore e, dall’altra, il fascino sensuale, e tutto carnale, di quella che Omero chiamava “bellezza callipigia”.
Ma c’è anche dell’altro e di più che si può dire per sottolineare le differenze tra i due modi di intendere il cinema. Perché mentre il razionalismo cartesiano improntava di sé, dandole autonoma vita, tutte le inquadrature di Rhomer, quelle del regista tunisino tendono sovente a disperdersi nel casuale, dilungandosi a volte inutilmente sui particolari o privilegiando l’apparente occasionalità dei controluce, diventando sovente calligrafiche e sovente ripetitive.
Detto ciò, comunque, questo “Canto Uno” del Mektoub (Destino) è un film piacevole da vedere e ben interpretato. Un’opera cinematografica che testimonia una pregevole padronanza del mezzo usato e che sa restituire allo spettatore paziente (il film dura quasi tre ore) una propria non banale originalità, che si evidenzia soprattutto nella convivenza tra l’atmosfera turistica delle giornate trascorse insieme in riva al mare, o al ristorante o in discoteca, e l’arcaica dimensione pastorale dell’allevamento di pecore e capre, curato nell’immediato retroterra dalla ex-compagna d’infanzia del protagonista, la quale è anche l’inconsapevole protagonista di una lunga scena erotica spiata dal giovanotto di ritorno a casa per le vacanze, oltre a essere colei che insegna all’amico di sempre il fascino antico della vita (simboleggiata nel parto ovino), nella quale convivono il dolore e la paziente attesa, il mistero della nascita e la tenerezza del primo amore.
MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO
(Mektoub is Mektoub, Francia-Italia, 2017) regia: Abdellatif Kechiche – soggetto: François Bégaudeau – sceneggiatura: Abdellatif Kechiche e Ghalia Lacroix – fotografia: Marco Graziaplena – montaggio: Nathanaëlle Gerbeaux e Maria Giménez Cavallo. interpreti e personaggi: Shaïn Boumedine (Amin), Ophélie Bau (Ophélie), Salim Kechiouche (Tony), Lou Luttiau (Céline), Alexia Chardard (Charlotte), Hafsia Herzi (Camélia), Delinda Kechiche (madre di Amin), Kamel Saadi (Kamel), Hatika Karaoui (madre di Tony). distribuzione: Vision Distribution – durata: tre ore