“I fantasmi di Ismael” di Arnaud Desplechin

di Aldo Viganò.

Nostalgia della Nouvelle Vague. Cioè, di quell’episodio della storia del cinema francese (ma non solo) sulla cresta dei cui anni migliori nacque a Roubaix (conosciuta come “la Manchester del nord delle Fiandre”, ma trasformata dalla crisi nella “città più povera della Francia”) il regista Arnaud Desplechin, cresciuto in una famiglia di attori e di sceneggiatori. Si suppone anche di spettatori appassionati dei film di Truffaut e di Godard, la cui influenza traspare con evidenza – come se li avesse assorbiti insieme con il latte materno – dalle pellicole che Desplechin metterà in scena qualche decennio dopo. E in particolare da questa sua ultima fatica: l’undicesima in ventisei anni di carriera punteggiata da cinque presenze al Festival di Cannes, dove però non è mai stato premiato.

Testimoniato dalla partecipazione nel cast di Lazlo Szabo e del figlio di Philippe Garrel, Louis, il legame con la Nouvelle Vague di Les fantômes d’Ismaël è sottolineato da tutta una serie di associazioni tematiche e stilistiche, ricercate con cura: dal comune amore per gli ammiccamenti letterari (soprattutto nella scelta dei nomi dei personaggi) e per le citazioni cinematografiche (insistita ed evidente qui quella di «La donna che visse due volte»), al privilegio concesso alle godardiane ellissi di montaggio o ai protagonisti che come in Truffaut ostentano i propri tormenti sentimentali; sino al dichiarato gioco del cinema nel cinema, del sincretico dialogo instaurato sullo schermo tra la finzione e la realtà, e viceversa.

Ismaël, interpretato dal fedele Mathieu Amalric, sta girando come regista un film d’amore e di spionaggio (in stile del primo Chabrol), quando viene messo bruscamente in crisi dall’improvviso ritorno a casa della moglie (Marion Cotillard), figlia del suo maestro cinematografico (Lazlo Szabo), che era sparita senza una parola vent’anni prima. La donna, sembra cambiata e un po’ malinconica, evoca in modo vago il tempo trascorso, soffermandosi solo sulla morte di un nuovo compagno, e stabilisce subito un buon rapporto con l’astrofisica Sylvia (Charlotte Gainsbourg) che ha preso il suo posto al fianco di Ismaël. Non sopportando la situazione, Sylvia decide, però, a sua volta di sparire, gettando così nello sconforto l’amato regista, che dapprima abbandona il film e si rifugia nella natia Roubaix, poi sembra riavvicinarsi alla moglie e, infine, si ricongiunge con Sylvia, dalla quale apprende che diventerà padre.

Non sempre chiaro e lineare nel suo svolgimento narrativo, che procede senza un preciso ordine temporale ed è ulteriormente complicato dall’inserto di alcune scene del film che si sta girando con Alba Rohrwacher e Louis Garrel protagonisti, nonché dal difficile riavvicinamento tra il padre e la figlia,  Les fantômes d’Ismaël è un film che oscilla pericolosamente di tono, passando dal melodramma alla tragicommedia, ma anche di stile, mantenendo però come suo punto di forza la recitazione, soprattutto quella delle due attrici protagoniste.

Resta, comunque, la fragilità dello sguardo cinematografico di Desplechin, il quale ostenta soprattutto un eccessivo compiacimento di sé che lo rende assai poco partecipe dei tormenti sentimentali dei personaggi, pur messi in scena in tutte le loro varianti: uomo e donna, padre e figlia, moglie e marito, regista e produttore. Con il risultato che, a lungo andare, la noia fa inesorabilmente capolino in un film che pur ambisce a inserirsi nella tradizione francese intesa a raccontare le grandi oscillazioni dell’amore.

 

 

I FANTASMI DI ISMAEL

(Les fantômes d’Ismaël – Francia, 2017)  regia e sceneggiatura: Arnaud Desplechin – fotografia: Irina Lubtchansky – musica: Grégoire Hetzel – montaggio: Laurence Briaud. Interpreti e personaggi: Mathieu Amalric (Ismaël Vuillard), Marion Cotillard (Carlotta Bloom), Charlotte Gainsbourg (Sylvia), Louis Garrel (Ivan Dedalus), Alba Rohrwacher (Arielle / Faunia), Hippolite Girardot (Zwy), Laszlo Szabo (Henri Bloom). distribuzione: Europictures – durata: un’ora e 50 minuti

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