TFF 2017 – “Payday” di Daryl Duke

di Renato Venturelli.

La sezione americana del Torino Film Festival riserva sempre qualche magnifica sorpresa, andando a ripescare film dimenticati nella gigantesca miniera Usa anni ’70, al di fuori delle convenzioni più scontate e risapute del “new american cinema”. E quest’anno, accanto ai vari “Paris, Texas”, “Out of the Blue” o “Stroszek”, è saltato fuori quest’ottimo “Payday”, a suo tempo inedito in Italia, diretto da un regista dalla carriera per lo più televisiva come il canadese Daryl Duke, delle cui incursioni cinematografiche ricordavamo il piccolo cult “L’amico silenzioso” ma anche il fiasco kolossal di “Tai-Pan”.

La struttura è ancora una volta quella del road movie, e il protagonista è l’ennesimo loser del decennio, incarnazione di un’America profonda allo sbando. Ma la variazione sui temi è personalissima, a cominciare dalla sceneggiatura di Don Carpenter e dall’interpretazione di Rip Torn, attore per lo più condannato a ruoli da caratterista o comprimario, qui alle prese col ruolo più forte della sua carriera.

Il suo Maury Dann è un cantante country che si muove continuamente in tournée, un’autentica celebrità dei piccoli locali di provincia lontano da Nashville, e in questo senso il film appartiene a tutta una tradizione con cui si misuererà qualche anno dopo anche il Robert Aldrich del meraviglioso “California Dolls”. Dann si muove a bordo della sua Cadillac con un autista tuttofare, un’amante che maltratta, un piccolo staff di collaboratori, una ragazza di paese forse ingenua forse no che è stata sedotta da un membro della band.

Ma la sua anomalia rispetto a tanti altri loser dell’epoca sta nel fatto che è una canaglia, un personaggio squallido sempre pronto a usare e gettare le persone di cui si circonda, a farsi ogni ragazza che incontra, a far ricadere sull’autista le proprie colpe.  Quando va a incontrare un dj radiofonico, c’è un dialogo a base di ricatti e sottintesi che non cerca nemmeno di simulare un’amicizia formale tra i due. Quando passa dall’ex-moglie per portare un regalo al figlio, scopre di non sapere nemmeno la data del suo compleanno. E quando va a trovare la mamma, trova una cinquantenne precocemente invecchiata, che non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto, circondata dal degrado e dalla sporcizia, incapace perfino di curarsi del cane alla catena, e la fa felice allungandole un po’ delle pasticche con cui tira avanti tra un concerto e l’altro.

Daryl Duke sta a rispettosa distanza dal suo personaggio, lo osserva senza giudicarlo, lo inserisce con discrezione nel paesaggio naturale, umano e sociale in cui si muove. Il Maury Dann di Rip Torn non ha nulla a che fare con i tanti ribelli senza causa del road movie anni ’70, è un personaggio piccolo e mediocre, ma a suo modo tragico, che ruota attorno al mito di Nashville, due anni prima del film di Altman. E il film adotta i ritmi malinconici di questo lento affondare nella frustrazione. Fino alla conclusione in un campo, dopo essere finito fuori strada, all’interno di quella Cadillac che costituiva la sua squallida promessa di vita alle ragazze che agganciava: un piccolo grande film sull’America profonda come dopo gli anni ’70 non ne sono più stati fatti.

Postato in 35° Torino Film Festival.

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