di Massimo Lechi.
Giunto alla sedicesima edizione, il Concorto Film Festival di Pontenure, in provincia di Piacenza, si è confermato una delle più importanti manifestazioni italiane legate al mondo del cortometraggio. Forte del notevole attaccamento del pubblico locale, con moltissimi giovani cinefili ad affollare le proiezioni serali all’aperto a Parco Raggio, il festival estivo organizzato dall’omonima associazione culturale presieduta da Paolo Ligutti, tra omaggi, rassegne e sezioni competitive, ha offerto dal 19 al 26 agosto una panoramica molto ampia sullo stato del cortometraggio internazionale. Un linguaggio cinematografico, questo, complessivamente ancora parecchio sottovalutato nel nostro paese, specie dal punto di vista delle sue reali potenzialità artistiche.
Tutto il contrario di quanto succede per esempio in Romania, protagonista del focus che ogni anno Concorto dedica a una cinematografia nazionale, dove proprio grazie a film di piccolo metraggio e grande spessore artistico sono esplose le carriere di cineasti quali Cristian Mungiu e Cristi Puiu (il cui ormai famoso Cigarettes and Coffee vinse l’Orso d’oro a Berlino nel 2004, anticipando di poco il successo de La morte del signor Lazarescu). I corti inseriti nella rassegna hanno costituito un interessante excursus nella produzione dell’ultimo decennio, a cavallo tra il boom della cosiddetta Nouvelle Vague rumena e la comparsa di voci e sguardi del tutto nuovi e fuori dal coro.
Il concorso principale, formato da 46 titoli provenienti da 25 paesi, con l’Europa a farla da padrona, ha invece evidenziato il tentativo compiuto dai direttori artistici Simone Bardoni, Claudia Praolini e Alessandro Zucconi di mettere insieme le varie anime del corto, le sue molte forme e sfumature: opere classicamente narrative (Whoever Was Using This Bed di Andrew Kotatko, ambiguo adattamento di un racconto di Raymond Carver, con Jean-Marc Barr e Radha Mitchell) e creazioni dal forte taglio sperimentale (Copa-Loca di Christos Massalas, 14 minuti in un resort abbandonato che valgono come compendio dei luoghi comuni della Weird Wave greca), animazioni (59 Seconds di Mauro Carraro, già premiato a Locarno, interessante ricostruzione del terremoto che distrusse il Friuli nel 1976) e commedie (la farsa About the Birds and the Bees del finlandese J.J. Vanhanen, Premio del pubblico), temi forti (i conflitti sociali americani nel celebratissimo Dekalb Elementary di Reed Van Dyk, su un folle che irrompe armato in una scuola di Atlanta) e ricerca visiva (l’assurdo universo erotico creato da Carlo Francisco Manatad in Fatima Marie Torres and the Invasion of Space Shuttle Pinas 25, col lancio della prima astronave filippina a far da sfondo), ermetismo poetico (il misterioso Dadyaa di Pooja Gurung e Bibhusan Basnet, ambientato in uno spettrale villaggio nepalese) e risate liberatorie (The Plumber dei belgi Xavier Seron e Meryl Fortunat Rossi, su un’improbabile coppia di doppiatori porno).
Tre film, in particolare, si sono imposti con la forza di immagini straordinariamente potenti. Il primo, A Gentle Night di Qiu Yang, ha iniziato il suo attraversamento del circuito festivaliero in primavera a Cannes, dove ha vinto la Palma d’oro. Girato interamente di notte, in una cupa città senza nome appena rischiarata da luci rossastre e sporadici fuochi d’artificio, il corto è incentrato su una madre in cerca della giovanissima figlia scomparsa – forse a causa di scarsi risultati scolastici, forse per i continui litigi dei genitori. In poco meno di un quarto d’ora il regista cinese, grazie a inquadrature studiate al millimetro e perfetti movimenti di macchina, trova la chiave per rappresentare l’incomunicabilità che, come un cancro, mina i rapporti umani nella Cina del miracolo economico.
Il secondo, Green Screen Gringo del filmmaker olandese Douwe Dijkstra, Premio speciale della giuria, è invece uno spiazzante viaggio nel Brasile post-Lula, quello dello sviluppo interrotto bruscamente e della feroce crisi politica, mostratoci superficialmente dai media come nient’altro che il nuovo travestimento di un paese immutabile, prigioniero della propria arretratezza, schiavo del proprio folklore. Armato di un green screen, Dijkstra gira qui per San Paolo, filmando con malizia tipi, situazioni e scenari brasiliani, accostandoli poi, sovrapponendoli e mettendoli in contrasto con effetti talvolta esilaranti, più spesso semplicemente disorientanti. Il risultato è un’esperienza visiva unica.
Il terzo, infine, Valparaiso di Carlo Sironi, vincitore dell’Asino d’oro 2017 (il massimo riconoscimento di Concorto), è invece ancora un cortometraggio dalla solida impostazione narrativa. Al centro, Rocio (Manuela Martelli), un’immigrata sudamericana che, rimasta incinta nel centro d’identificazione dove viene tenuta a vegetare dalle autorità italiane, decide di sbarazzarsi del bambino appena nato, salvo poi pentirsi della scelta. Questa storia di emarginazione in una Roma notturna e respingente viene raccontata da Sironi con mano salda e senza sbavature melodrammatiche, ricorrendo a una messinscena realistica perfettamente sostenuta dall’ottima fotografia di Michele D’Attanasio. Secco e nervoso come la sua tormentata protagonista, Valparaiso è un cortometraggio coraggioso e toccante, il biglietto da visita di un giovane regista sul cui talento è lecito puntare. Senza dubbio tra i picchi della breve ma intensa estate concortiana.