di Juri Saitta.
Vincitore di “Un Certain Regard” al 69° Festival di Cannes e rappresentante della Finlandia ai prossimi premi Oscar, “The Happiest Day in the Life of Olli Mäki” dell’esordiente Juho Kuosmanen è anche uno dei lavori più interessanti del 34° Torino Film Festival, dove è stato presentato nella sezione “Festa mobile”.
Ambientata negli anni ’60, l’opera racconta la storia di Olli Mäki, pugile finlandese che prova a diventare campione del mondo nella categoria dei pesi piuma sfidando lo statunitense Davey Moore, all’epoca detentore del titolo. Ma proprio nei giorni culmine dell’allenamento, il protagonista sembra essere distratto dall’innamoramento per la coetanea Raija.
Come si può forse evincere da tale sinossi, il lungometraggio in questione ribalta sottilmente i cliché del cinema sportivo dando più importanza alla love story che al pugilato e, soprattutto, narrando la vicenda di un boxeur svogliato e indifferente alla propria carriera.
Qui, infatti, non solo gli sguardi, le passeggiate e le decisioni dei due innamorati hanno una rilevanza maggiore rispetto alle sequenze di boxe, ma – inoltre – il personaggio di Olli Mäki capovolge tutte le caratteristiche di alcuni pugili raccontati da Hollywood: non sembra indigente, non è aggressivo con gli avversari, non vede nello sport un’occasione di riscatto e sembra piuttosto disinteressato alle proprie sorti agonistiche.
L’uomo ha dunque un comportamento anomalo e “distratto” che deriva sia dalla sua situazione sentimentale sia dal disagio crescente che prova verso il mondo del pugilato e dei media che gli stanno attorno. Come afferma lo stesso protagonista, egli ha la sensazione di trovarsi in una sorta di circo nel quale deve costantemente fingere e “recitare”: fingere di essere un duro, di essere sicuro di vincere, di essere alto, di vivere in una villetta con il proprio allenatore.
Questioni che emergono tramite una regia contemporaneamente sottesa e attenta ai dettagli, la quale non solo coglie con poesia e naturalezza i gesti più piccoli e gli sguardi più fugaci dei personaggi, ma che lavora inoltre su simboli e particolari che svelano i sentimenti dei protagonisti e rimandano al lato più artificiale e mediatizzato dello sport. Metafore – come per esempio quella della ragazza del Luna Park – evidenti ma mai troppo marcate o forzate, le quali sono anzi perfettamente inserite in una narrazione al tempo stesso fluida e minimale, scorrevole e quieta.
Elementi che rendono l’esordio di Kuosmanen assolutamente notevole, in quanto acuto ma non intellettualistico, semplice ma non piatto, tenero ma non stucchevole. E se tutto questo è impreziosito da un’ottima fotografia in bianco e nero, il risultato complessivo è dovuto soprattutto a un regista al tempo stesso vigile e romantico, che per poesia, attenzione ai dettagli e pacatezza narrativa può vagamente ricordare Edgar Reitz e il suo lo stile cinematografico.
Ed è proprio tutto ciò che fa di “The Happiest Day in the Life of Olli Mäki” un piccolo grande film, dove magari non vi è nulla di eclatante, ma nel quale regna un’apprezzabile e mai scontata armonia tra profondità di sguardo e (apparente) semplicità di messa in scena.
(di Juri Saitta)
The Happiest Day in the Life of Olli Mäki (Hymyilevä Mies, 2016) Regia: Juho Kuosmanen – Sceneggiatura: Juho Kuosmanen – Fotografia: J-P Passi – Montaggio: Jussi Rautaniemi – Interpreti: Jarkko Lahti (Olli Mäki), Oona Airola (Raija Jänkä), Eero Milonoff (Elis Ask), Joanna Haartti (Laila Ask), Esko Barquero (Snadi), Elma Milonoff (Evi) – Durata: un’ora e 32 minuti.