di Furio Fossati.
Sorriso sornione, voglia di parlare, piacere di essere davanti a chi ama il suo lavoro, Charlie Kaufman al KVIFF di Karlowy Vary si è concesso tre volte, durante l’apertura della serata dedicata alla presentazione del suo secondo film come regista – Anomalisa (2015) – nella pubblica intervista davanti ad oltre 1000 persone, in una movimentata conferenza stampa, nella giornata di chiusura del Festival. È una forza della natura capace di trascinare, di coinvolgere, di fare divertire.
- Nella sua vita ha fatto molti lavori, si è dedicato a molti progetti. Quali preferisce?
“Quelli in cui ti pagano. Un lavoro, in generale, è bello se riconoscono la qualità gratificandoti anche con denaro: indispensabile per essere sereni e potere pensare a cose che magari ti interessano di più.”
- Quindi, ha anche collaborato a produzioni commerciali.
“Questo no, quantomeno mai in progetti che erano preposti solo al guadagno senza una certa qualità. Per Richard Gere, con tutto il dovuto rispetto, non scriverei mai: è lontano mille miglia dal mio modo di intendere il cinema. Con George Clooney regista non ho avuto difficoltà perché ha capito lo spirito della sceneggiatura e ha saputo leggerla in maniera originale.”
- Come definisce le situazioni che crea nei suoi script e che sono definite da alcuni semplicemente “stupide”.
“Chi lo dice ha perfettamente ragione. Sono stupidate, scritte e pensate come tali, ma sono stupidate che fanno ridere e che, messe tutte assieme, possono rendere un film interessante.”
- Come è il suo rapporto, quale sceneggiatore, coi registi che hanno messo in immagini quanto da lei scritto?
“Dipende ovviamente da chi ho di fronte ma, normalmente, sono presente sul set e seguo lo sviluppo del suo lavoro e, se serve, faccio cambi durante il working in progress: questa non è certo una cosa rara nel cinema di Hollywood dove chi scrive è corresponsabile fino all’ultimo del film.”
- Le sue storie sono momenti di vita a volte pazze, in cui è importante la coesione assoluta di chi le interpreta con il personaggio portato sullo schermo. Mai pensato di lavorare con attori non professionisti ma che possano essere identificati immediatamente in quello che vivono sullo schermo?
“No, assolutamente. Io credo alla professionalità e un attore professionista, se bravo, può donare spontaneità assoluta a quanto interpreta. Il dilettante, quello che non è mai salito sul set, deve superare paure, imparare a conoscere il mezzo, trovare in se stesso il personaggio di cui epidermicamente può essere gemello, ma che lui deve fare vivere emotivamente: non è facile, non è da tutti.”
- Con Anomalisa ha affrontato il mondo dell’animazione: perché questa scelta e come si è trovato in questo nuovo ambito?
“La sceneggiatura è tratta da una mia commedia che a teatro era interpretata da David Thewlis e Jennifer Jason Leigh, gli stessi che danno le loro voci ai personaggi principali nella trasposizione cinematografica. Puntavo molto sul fatto che il protagonista soffriva della sindrome di Fregoli e che vedeva chi lo circondava praticamente con lo stesso viso. Potevo utilizzare vari attori poi trasformati con gli effetti speciali tanto da essere molto simili tra loro, ma sarebbe stato un sistema in cui difficilmente si possono ipotizzare i risultati finali.
Con lo Stop Motion il lavoro è stato molto lungo – oltre sei mesi – ma i risultati visibili quasi subito e trasformabili. Mi sono affidato ad una casa di produzione specializzata che ha capito quello che volevo ed è riuscita a portarlo sullo schermo: gli animatori non sono soltanto validissimi tecnici, ma persone con la sensibilità degli attori che riescono a trasformare i loro lavori di grafica in pulsanti interpreti che sanno emozionare.”
- Quale è la ragione che l’ha portata a scegliere di trasformare i suoi personaggi in pupazzi?
“Inizialmente non erano pupazzi, era scritto come un gioco tra persone. E’ stato lo Studio di animazione a chiedermi se li potevo trasformare per creare una storia per loro più interessante da gestire. Mi piacciono sia i pupazzi che questo tipo di tecnica narrativa e, quindi, ho accettato volentieri; ma, ripeto, inizialmente non era questa l’idea.”
- Quale è la ragione per la scelta di un customer service expert quale protagonista: non è un lavoro noioso, non limita la drammaticità del personaggio?
“Per me è un lavoro terribile. Guadagna poco, è un’attività che si può fare chiunque senza abilità, nessuno ti riconosce come loro simile quando parli al telefono. Con loro tutti sono poco amichevoli anche se vengono trattati da questi lavoratori in una maniera cortese e deferente. Per parlare di stress, di esigenze di una certa visibilità era la professione ideale.”
- La scelta di rendere tutti i personaggi con la stessa voce, eccettuato i protagonisti, cosa vuole rappresentare?
“Io vivo in un condominio e non conosco praticamente il nome di nessuno, alle volte so il numero dell’appartamento. Per me sono volti indistinti, persone che non sono tali ed io per loro sono la stessa cosa. Nel film hanno la stessa voce perché, per gli altri, spesso sono difficili da identificare come persone”
- Pensa che anche gli uomini siano manipolati o manipolabili?
“Certo. Molti dei limiti sono imposti da noi stessi, inconsciamente, per proteggerci dal mondo esterno. Altre, non necessariamente i più numerosi, ci giungono dall’esterno.”
- C’è chi ha detto che lo humour, oltre a renderla facilmente riconoscibile, potrebbe limitarla nella creatività. Lei cosa risponde?
“Non lo considero un limite ma parte di me stesso, un modo che permette di esprimermi in maniera diretta. Non ho intenzione di superare questo limite perché non lo considero tale.”
- Ritiene che col suo lavoro abbia dato un segnale innovativo nell’animazione?
“Mi piacerebbe fosse così, ma temo proprio non lo sia. Mi accontenterei che col mio lavoro si potessero aprire dello spazio nuovo per titoli fatti da altri autori.”
- Pensa di realizzare altre animazioni?
“Non lo escludo, ma richiedono molto denaro e molto tempo, cose difficili – ambedue – da trovare.”
- Domanda di rito: programmi futuri?
“Ne ho tanti, tantissimi ma non saprei dire quale diverrà operativo a breve: il lavoro scelto deve piacere ai produttori che lo devono finanziare, agli attori che dovrebbero interpretarlo: inoltre, il regista scelto deve essere libero in quel momento: meglio dire che il futuro è ricco di tante idee.”
Per non smentire la sua capacità di stupire, durante la Serata di chiusura del Festival quando ha ricevuto il Premio del Presidente del Festival – riconosciuto anche al francese Jean Reno – si è esibito in un discorso di ringraziamento di oltre tre minuti in ceco senza leggere; e, a detta di alcuni colleghi locali, aveva anche una buona pronuncia.
(Furio Fossati)