di Renato Venturelli.
Un ragazzo vaga nella folla del quartiere a luci rosse di Tokyo, coi capelli ossigenati, immerso tra insegne e luci artificiali. Fa a botte con un gruppo di teppisti, viene raccolto da uno sconosciuto e avviato dal suo nuovo protettore a un lavoro da bassifondi: deve fermare per strada belle ragazze, offrire loro un ingaggio ben retribuito e spedirle a prostituirsi dentro i bordelli della catena per cui lavora.
“Shinjuku Swan” è uno dei tre film di Sion Sono presentati quest’anno al TFF, che in passato aveva già dedicato una bella personale al regista giapponese colpito nel 2015 da improvvisa bulimia (cinque film, più uno tv). Poco amato dai suoi fan perché privo delle accensioni più estrose di molti suoi film precedenti, è però anche uno dei suoi lavori più serrati e compatti narrativamente, tratto dalla serie manga, tutto raccolto attorno al suo protagonista: un angelo caduto che ingaggia ragazze per avviarle alla prostituzione, ma è anche sinceramente accorato, convinto di volerle rendere felici, pronto a intervenire per salvare chi di loro si ritrova imprigionata e schiavizzata da un meccanismo criminale che è al tempo stesso feroce e quasi favolistico.
Lo stesso protagonista, del resto, è una semplice pedina dell’organizzazione, lanciato cinicamente allo sbaraglio in mezzo alle gang rivali, fatto picchiare selvaggiamente solo per motivi tattici. E nel momento culminante si ritroverà di fronte un altro angelo caduto: un suo antico compagno di scuola, un suo doppio che adesso è un nemico personale, l’avversario crudelissimo e spietato.
Questa storia di angeli caduti, assolutamente convenzionale nei suoi meccanismi esteriori, raccontata come in una favola in cui anche i colpi più violenti si risolvono per lo più rapidamente, è del resto collocata in uno scenario particolare: quello del quartiere di Tokyo sfavillante di luci e di merci, di folla e di insegne, dove effettivamente alle ragazze viene offerto quello che desiderano, soldi, lavoro, sesso, la possibilità di avere i mezzi per comprarsi ciò che vogliono. E Sion Sono ci racconta questa storia di passioni e di ferocie fiabesche, di piccoli principi fantasma immersi nel paradiso luccicante della mercificazione, ma lo fa senza ombra di moralismi, puntando su un ritmo vorticoso e un colorismo acceso, senza un attimo di tregua. Snobbato da molti perché ritenuto poco aggressivo nel suo rapporto coi generi, è in realtà un film che evita di esibire rotture esteriori, ma lavora in modo più sottile sulle esplosioni interne, mimetizzando il suo lavoro sarcasticamente eversivo dietro le apparenze luccicanti della fluidità spettacolare.