di Alberto Castellano.
Un altro attore che passa dietro la macchina da presa, un altro comico napoletano alla ricerca del Troisi “perduto”, un’altra commedia ambientata a Napoli.
Ormai la location partenopea sembra essere rassegnata a oscillare tra il crudo, duro realismo gomorristico e la rappresentazione ironico-grottesca di collaudati personaggi e situazioni con tutte le trappole oleografiche annesse. Ma l’esordio da regista di Sergio Assisi con “A Napoli non piove mai” va guardato con una certa indulgenza e simpatia e le chiacchiere pro o contro dei salotti-cabaret televisivi notturni lasciano il tempo che trovano, soprattutto perché commedie come queste nascono senza ambizioni artistiche particolari e più o meno danno ciò che promettono.
Inoltre vanno lette per le potenzialità in filigrana di farsi tassello di un nuovo trend del prolifico e variegato filone della commedia made in Naples. Dopo “Benvenuti al Sud” infatti – che probabilmente ha inaugurato un nuovo modo di trattare l’eterno incontro-scontro Nord/Sud ribaltandone le dinamiche geografico-culturali – la commedia di Assisi prova a ribadire che anche al cinema i vecchi modelli migratori e gli obsoleti preconcetti hanno fatto il loro tempo. Anche se sono stati Genovese e Miniero nel 2002 con “Incantesimo napoletano” a stravolgere certi luoghi comuni sulla “napoletanità” con una vicenda comico-surreale (in una famiglia napoletana succede che, per uno strano scherzo del destino, la primogenita parla solo milanese e rifiuta la pastiera, i babà, il capitone perché preferisce il risotto allo zafferano).
Il bello, bravo e simpatico Assisi produce con la sua società Quisquilie Production (a low budget), scrive, dirige e interpreta una commedia con la quale in qualche modo capitalizza l’esperienza accumulata e il mestiere “rubato” in un intenso percorso artistico tra teatro (dalla tragedia greca alla commedia classica napoletana di Scarpetta, dalle tragedie di Shakespeare alla commedia dell’arte di Goldoni, e il teatro contemporaneo), cinema e televisione (le fortunate serie “Capri” e “Elisa di Rivombrosa”) che in pochi anni ne ha fatto uno dei volti più popolari della sua generazione. Non solo ma cerca e in parte trova un equilibrio espressivo tra il suo talento di commediante, la sua vena di comicità dialettale da gagà della Napoli bene, la sua sensibilità per l’intimismo e i sentimenti e il sincero desiderio di raccontare la sua Napoli.
Girato nei quartieri più caratteristici e più belli di Napoli (Posillipo, Mergellina, Avvocata, Montecalvario, San Giuseppe, Chiaia, Vomero, la chiesa di Santa Marta, l’archivio storico di Napoli, Castel dell’Ovo, il Maschio Angioino, Villa Vannucchi di San Giorgio a Cremano), il film di Assisi vuole osservare Napoli come quel posto dell’anima dove vuoi credere che appunto… non piove mai!
La commedia si regge su un bizzarro triangolo legato dalle sindromi.
Barnaba (lo stesso Assisi) soffre della sindrome di Peter Pan, Jacopo è vittima della sindrome dell’abbandono, Sonia soffre della sindrome di Stendhal.
Barnaba, tipico napoletano sulla soglia dei quaranta, depresso, nullafacente, soffre della sindrome del bamboccione. Svolge una vita tra l’affetto della mamma e i contrasti con un padre padrone convinto che il posto statale sia ancora la salvezza. Si lamenta di tutto, ma si bea del suo essere meridionale, reagendo alla precarietà della vita con strafottenza e pigrizia, come se tutto fosse un gioco. Sonia, tipica ragazza del nord, neolaureata, di famiglia benestante, è un’avvenente pittrice con un’insolita vena creativa. Intelligente, logorroica, folle e confusa, cerca di fuggire dal destino di una vita preconfezionata dal padre, che la vuole nella sua azienda e in sposa al suo commercialista.
Decisa a non arrendersi al volere del padre, insegue il suo sogno da artista, quello di partecipare alla Biennale. Per caso o per destino, viene aiutata dal suo professore, che le propone di trasferirsi a Napoli per restaurare delle opere nella chiesa di un suo amico prete. Sonia è però affetta da una strana patologia, la sindrome di Stendhal. Sviene ogni qualvolta fissa un’opera d’arte o quando è presa dall’entusiasmo di spiegarne agli altri un qualsiasi concetto.
Jacopo, abbandonato in un cassonetto alla nascita e lasciato dalla futura moglie sull’altare, soffre della sindrome dell’abbandono. Vive chiuso nel suo mondo a causa di quella delusione d’amore dalla quale non si è più ripreso e continuamente tenta invano di suicidarsi. Impiegato statale, lavora in un grigio ufficio pubblico ed è vessato di continuo dal suo capo. Remissivo di carattere, è costretto suo malgrado, ad ospitare Barnaba, e ne subisce l’esuberanza e i continui lamenti.
Grazie anche a un cast ben assortito e incisivo con attori giovani (Ernesto Lama, Valentina Corti) e meno giovani e alle facce e i corpi di consumati caratteristi di scuola napoletana (Nunzia Schiano, Sergio Solli, Antonella Morea, Lucio Caizzi, Francesco Paolantoni, Massimo Andrei, Susy Del Giudice, Benedetto Casillo), la commedia riesce ad essere piacevole oscillando tra momenti poetici e sentimentali e l’imprescindibile esigenza di non rinunciare al repertorio di gag naif e sketch di matrice teatrale/televisiva, tra la collaudata rappresentazione di tipologie e situazioni quotidiane e la più irriverente ironia su inossidabili mitologie dei napoletani (divertente quella di Barnaba che spera che San Gennaro possa fargli il miracolo di ricaricargli il bancomat,), tra irregolarità espressive e altalenanti scelte stilistiche. Una cosa è certa. “A Napoli non piove mai” porta una buona dose di freschezza nella produzione comica partenopea e lancia involontariamente un messaggio: nella lunga ricerca della comicità dopo-Troisi, si può andare oltre Salemme e Siani.