Di Juri Saitta.
Aaron Burn è un giovane filmaker di Trieste che ha realizzato e autoprodotto alcuni brevi video che hanno partecipato a diversi festival e concorsi cinematografici. I suoi lavori si dividono tra documentari – come Siamo quello che facciamo, incentrato sulla passione che unisce i mestieri più diversi e distanti – e cortometraggi di finzione, quali The Shadow of the Genius e The Storm. Il primo tratta del momento in cui nasce un’idea e vede come protagonista un uomo che la sta cercando faticosamente, mentre il secondo è ambientato in territori diversi e riguarda due componenti opposte (il caldo e il freddo) che se unite danno forma e vita a un terzo elemento.
In entrambi i lavori conta di più la parte astratta e concettuale che la narrazione, ma il loro aspetto più interessante è quello artigianale, in quanto Burn per i suoi video ha costruito e usufruito di modellini. Una caratteristica rilevante anche perché rimanda, in maniera più o meno voluta, a un modo di fare cinema sempre più raro.
Ho parlato di tutto ciò con il regista in una breve conversazione, concentrata soprattutto sui suoi lavori di fiction.
Come hai iniziato a girare video?
Mi sono interessato al cinema fin dalle superiori, quando studiavo da grafico. Ho realizzato i primi corti durante gli anni dell’Università (il Dams di Gorizia) con alcuni miei compagni di corso. Con loro ho girato un breve documentario commissionato da un paese veneto e altri cortometraggi simili. Da lì in poi ho iniziato a girare video autonomamente cercando di partecipare ad alcuni concorsi.
Il tuo primo lavoro di fiction è The Shadow of the Genius del 2012. Com’è nato il progetto?
Questo è un video realizzato per Radio In Corto, un concorso aperto a più temi e problematiche. Riflettendo sul soggetto del lavoro, ho pensato che l’argomento potesse essere proprio quello del momento in cui si trova un’idea. Dopo aver fatto delle ricerche su vari filosofi, scrittori, scienziati e pensatori in generale, ho scritto la sceneggiatura e in cinque giorni ho girato e montato il corto.
Nel video si possono notare dei riferimenti allo stile e alle atmosfere del cinema di Tim Burton. È un omaggio voluto?
È un elemento che pensavo potesse emergere, ma che in realtà deriva da questioni pratiche. Per le prime sequenze dovevo inquadrare dall’alto l’abitazione del protagonista e la soluzione più economica si è rivelata quella di costruire un modellino della casa, una miniatura che in effetti può ricordare il cinema dell’autore statunitense. Inoltre, l’abitazione è composta, sia al suo interno sia al suo esterno, da delle linee oblique che possono rimandare all’espressionismo tedesco. Nessuno dei due riferimenti è stato programmato, ma sono comunque due tipi di cinema che apprezzo e che forse mi hanno influenzato a livello inconscio.
Inoltre, il bianco e nero con cui ho girato il video non è casuale, in quanto è servito a omaggiare il cinema muto.
The Storm è invece è il tuo secondo lavoro di finzione.
È un corto che ho realizzato per One – one thing we agree on / iStockphoto (Zooppa) 2013, un concorso che richiedeva di girare un video incentrato su due elementi contrari che se uniti possono creare la vita.
Basandomi su tale richiesta, ho deciso d’incentrare il tutto sul caldo e sul freddo, mostrando “mondi” dai territori e dai climi opposti. Anche in questo caso ho creato dei modellini: gli ambienti presenti nel film – ispirati a vari luoghi e pianeti – sono stati realizzati con il gesso e il polistirolo.
Tutto ciò è servito a ottenere un effetto realistico e fantastico insieme, che fosse credibile ma che allo stesso tempo non nascondesse l’aspetto più inventivo, “fantascientifico” e artigianale del lavoro.
The Shadow of the Genius e The Storm hanno appunto in comune la componente artigianale della realizzazione. È solo una questione economica o anche estetica?
Sono presenti entrambi gli aspetti. Sicuramente usare i plastici è un modo pratico per creare ambienti anche immaginari senza l’ausilio di strumenti più complessi e costosi, come gli effetti speciali e la computer grafica. Allo stesso tempo però il modellismo mi è sempre piaciuto anche a livello formale e, inoltre, amo combinare riprese reali con elementi fittizi e costruiti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho in cantiere da circa quattro anni un lungometraggio che sto cercando di pubblicare sul web e di inviare a qualche festival o concorso.
Il soggetto vede come protagonista un ragazzo dalle molte paure e dai molti blocchi psicologici che inizierà un percorso che lo porterà a superare le proprie difficoltà. Il film si svolge quasi completamente in una casa, che rappresenta il mondo interiore del personaggio. Il titolo sarà Avurie ed è un riferimento a un demone che toglie il respiro durante la notte, figura che nel mio lavoro avrà una valenza sia materiale sia metaforica.
(di Juri Saitta)