di Furio Fossati.
Jorge Perugorría è attualmente il più amato artista cubano che esprime il suo mondo attraverso la pittura e il cinema dove opera sia come attore che sceneggiatore e regista.
Noto a livello internazionale soprattutto per il film Fresa y chocolate (Fragola e cioccolato, 1993) di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío in cui interpretava il protagonista Diego, un gay con mille problematiche, Perugorría nella Trentaseiesima edizione del Festival del Nuovo Cinema Latino Americano de L’Avana è presente con due titoli importanti, uno come regista e l’altro come interprete.
– Uno dei film più importanti visti in questi giorni, La pared de las palabras (Il muro delle parole, 2014) diretto da Fernando Perez Valdes, ti vede come straordinario protagonista.
“Ritengo che Fernando sia attualmente il più rappresentativo degli autori cubani, ed in questo la critica internazionale è completamente d’accordo. Quando mi ha proposto di interpretare Luis, con grande incoscienza ho accettato.
– Ci dici di cosa tratta?
“Luis soffre di distonia fino da bambino, e non è in grado di comunicare attraverso il linguaggio del corpo o le parole. Ha un fratello minore che gli vuole bene e lo aiuta in ogni cosa ma che lo vede come ostacolo per la propria felicità. Il disabile Luis vive in una struttura psichiatrica, c’è una donna mongoloide che si è innamorata di lui e che lo tratta come il suo uomo. La madre vive solo per lui e colpevolizza se stessa per questa diversità e, per certi versi, odia la normalità del altro figlio.
– Carlo Enrique Almirante, tuo fratello nel film, è anche il protagonista del film presentato in concorso e da te diretto.
“Fátima o el Parque de la Fraternidad (Fatima o il Parco della Fraternità, 2014) è richiedeva un interprete che si calasse completamente in questo personaggio a metà tra finzione e realtà. Ho lavorato per teatro, la televisione e il cinema dove fino ad ora ho recitato in oltre 50 film e ne ho diretti otto. Per questo ho seguito il casting in prima persona, casting che è durato moltissimo. Molti gli attori visionati per ogni personaggio prima di scegliere quello che ritenevo giuusto, ma nessun problema o dubbio per Almirante: era Fatima con tutte le sue paura e la sua sfrontatezza, aveva capito il vero spirito del personaggio e sono stato molto felice quando ha accettato il personaggio.
– La Polizia è dovuta intervenire alle proiezioni per evitare che chi non era riuscito a comperare il biglietto travolgesse chi cercava di entrare con diritto a vedere il film.
“Questo fatto per certi versi mi ha inorgoglito, per altri rattristato: felice che in tanti lo volessero vedere, dispiaciuto di non avere accontentato tutti. Un cineasta che non ama il pubblico non ha capito l’essenza del cinema.
– Per quale ragione hai affrontato un tema così controverso e scomodo come quello di Fatima?
“Ho firmato un’opera di denuncia sulla diversità, sull’impossibilità per i giovani di avere una vita soddisfacente, sul fenomeno dei clandestini che cercano di raggiungere via mare gli Stati Uniti. La storia principale, quella che appare come vicenda su cui si sviluppa tutta la vicenda, racconta di ragazzino che si sente diverso, che viene rifiutato dal padre energumeno e amato dalla madre. Studia, si diploma non senza avere subito mille umiliazioni. Abbandona la provincia per raggiungere L’Avana dove l’incontro fortuito con uomo esteriormente virile gli cambia l’esistenza: si innamorano, lui l’aiuta a divenire una Dark Lady ma, nello stesso tempo, gli propone incontri occasionali con uomini. E’ farfallone mentre “lei” è fedele ed innamorata anche quando il suo uomo parte per gli Usa su di un barcone. Fatima è il nome d’arte del giovane Manolo perché da bimbo gli era apparsa la Madonna di Fatima e questo lo aveva segnato tutta la vita, rendendolo vittima da parte dei suoi compagni tanta ironia che si aggiungeva alle derisione per le sue tendenze sessuali.
– E’ un perdente?
“No, ha una forza interiore che trasforma le umiliazioni in piccole vittorie, momenti di scoramento in occasioni per risorgere ancora più forte.
– Soddisfatto di come è riuscito il film.
“Domanda impossibile a cui rispondere con certezza. Ogni volta che lo vedo noto cose che avrei potuto realizzare in maniera differente. In tutti i casi, la versione che ho proposto al Festival è un working in progres ma il desiderio di essere presente nella manifestazione che tanto mi ha dato mi ha convinto a presentare un’opera che richiede ancora post produzione.
– Tornando a La pared de las palabras (Il muro delle parole, 2014) ci sono state critiche nei confronti del regista Fernando Perez Valdes.
“Più che un film sulla disabilità, La pared de las palabras riflette il difficile compito della comunicazione umana, il dolore e i limiti accettabili del sacrificio di chi vive in un mondo imperfetto proprio per essere vicino a chi deve convivere con situazioni così critiche. Fernando ha vinto il Gran Coral del Festival de L’Avana sia come opera prima che con un lungometraggio nel ed è autore che prima di affrontare un tema studia ogni cosa e cerca la perfezione in quello che realizza; può essere che questa attenzione ad ogni particolare abbia causato qualche rallentamento, ma non ne sono convinto. Sarà comunque il pubblico a decidere se l’opera merita oppure no.
– Prossimi progetti?
“Tanti, tantissimi, mai troppi: è bello potere esprimersi in vari modi con l’emozionalità del momento. Forse mi dedichero alla pittura, una mia grande esigenza espressiva. ma il cinema mi ha donato tanto e sicuramente non lo abbandonerò mai.