di Antonella Pina.
Per il suo anniversario il Festival di Deauville ha voluto una giuria particolarmente prestigiosa: Costa-Gavras presidente; tra i membri: Claude Lelouch, Pierre Lescure, Vincent Lindon, Jean-Pierre Jeunet, Andrè Téchiné. Il Grand Prix è andato a Whiplash di Damien Chazelle, già notato alla Quinzaine des Réalisateurs e vincitore del Sundance Film Festival.
Si tratta di un film dal ritmo irresistibile, come quello scandito dalla musica jazz che il giovane Andrew, interpretato da Miles Teller, ottiene suonando la sua batteria. Andrew ha grandi capacità ma ancora più grandi ambizioni. La sua vita cambia quando il più importante direttore d’orchestra del conservatorio di Manhattan dove Andrew studia, Terence Fletcher, ottimamente interpretato da J.K. Simmons, lo chiama a suonare nel suo gruppo. Fletcher è un uomo dotato di grande talento e di una ancora più grande crudeltà. I due protagonisti si affrontano e si scontrano in un duello senza esclusione di colpi che non concede tregua allo spettatore.
Chazelle è abile nel mantenere altissima l’apprensione per poi scioglierla di colpo nell’entusiasmante finale, con forse troppa accondiscendenza verso il desiderato lieto fine. Gli spettatori, grati, gli hanno conferito il Premio del pubblico della città di Deauville.
Il Premio della giuria è stato invece assegnato a The Good Lie di Philippe Falardeau, un film di grande impegno civile sui “Lost Boys of Sudan”, i ragazzi perduti del Sudan: migliaia di bambini che hanno trovato rifugio nei campi profughi in Kenya dopo aver perso ogni cosa ed ogni affetto negli orrori della seconda guerra civile sudanese (1983-2005). Più di 3000 di questi ragazzi cresciuti nei campi sono poi stati inviati negli Stati Uniti alla ricerca di un lavoro e di una nuova vita. Il film racconta la storia edificante e vera di quattro di loro che, con l’aiuto di una coraggiosa Reese Witherspoon, riescono ad integrarsi nella società americana. Falardeau mescola il genere drammatico con quello comico e sentimentale. Il risultato finale è lodevole, dato l’argomento trattato, ma la pellicola soffre di troppa simpatia e bontà.
It Follows di David Robert Mitchell ha vinto il Premio della critica. Le prime esperienze sessuali di un gruppo di adolescenti hanno conseguenze sorprendenti e terrificanti. It, la cosa che ti viene “donata” attraverso il sesso, ti segue lentamente ma inesorabilmente per ucciderti e possederti. Puoi fuggire, attraversare il confine, la periferia deprimente e deserta, raggiungere il mare, ma It continuerà a seguirti, camminando, con le sembianze di tua madre, di tuo nonno o di uno sconosciuto, ma sempre con lo sguardo freddo e immobile di uno zombi. Si tratta di un film horror ad alta tensione che non concede tregua allo spettatore. Ha diversi piani di lettura ed è stato realizzato da un giovane regista di grande talento che sicuramente ha amato i film di Carpenter, Polanski, Cronenberg e Dario Argento.
Il Premio della Rivelazione Cartier, creato dal marchio Cartier, uno dei partner del Festival, e attribuito da una giuria autonoma, presieduta quest’anno dall’attrice Audrey Dana, è andato a A Girl Walks Home Alone at Night di Ana Lily Amirpour. Il film, coprodotto da Stati Uniti e Iran, è girato in bianco e nero e parlato in persiano con sottotitoli in inglese. Si tratta di una storia romantica raccontata in uno stile a metà tra l’horror e il western: una ragazza vampira munita di chador, si aggira di notte per le strade nutrendosi del sangue di uomini cattivi. Le strade sono quelle di Bad City, un luogo al di fuori del tempo, una città iraniana che potrebbe trovarsi da qualche parte nel Texas al confine con il deserto, con una discarica per cadaveri e trivelle per l’estrazione di petrolio che sembrano muoversi in modo astratto, come una macchina inutile e triste di Tinguely. Le musiche accompagnano con efficacia le immagini e vanno dalla new wave al rock arabo. Il film, seppur piacevole, non fosse che per il contrastato bianco e nero della fotografia, lascia un po’ perplessi: ci sono aspetti poetici e naïf che rimandano alla grafica e al fumetto, ma nella storia c’è un grosso gatto dallo sguardo dolce e rassegnato e, inevitabilmente, l’apprensione per il suo destino tiene alta l’attenzione dello spettatore.
Antonella Pina