di Massimo Lechi.
A poche ore dall’inizio della settantunesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sono molti i punti interrogativi. Difficile esprimere un giudizio sul programma ufficiale, e sul concorso in particolare. Le molte assenze (Paul Thomas Anderson e Terrence Malick, innanzitutto) stanno pesando più del previsto nella percezione generale, ridimensionando anche le notizie più curiose (il fantomatico Roy Andersson per la prima volta in gara, James Franco che ritenta la scalata a William Faulkner), i ritorni insperati (Franco Maresco con il doc Belluscone. Una storia siciliana) e le sorprese autentiche (il romanziere Michel Houellebecq ciclista sdentato in Near Death Experience). C’è già chi scommette senza esitazioni sul Leone d’oro all’epico The Cut di Fatih Akin, ma nel complesso si brancola ancora nel buio, incapaci di stabilire – come è giusto e inevitabile che sia, in fondo – quali saranno la cocente delusione d’autore, l’opera prima sconvolgente, il film delle Giornate degli Autori che-meritava-assolutamente-il-concorso, e così via.
Segnalo, a questo proposito, dieci film da me attesi con trepidazione, dieci titoli che mi sembrano brillare nella selezione ufficiale. Le righe che seguono non sono pertanto previsioni o – peggio – recensioni preventive, ma semplici note, riflessioni, cauti auspici. Piccoli ricami cinefili su opere cinematografiche dai contorni ancora del tutto ipotetici. In attesa del riscontro in sala.
1) Birdman (Alejandro González Iñárritu)
Quinto, atteso film del messicano Iñárritu, il secondo dopo la rottura con lo sceneggiatore Guillermo Arriaga. Al centro, la figura di un’ex stella hollywoodiana precipitata nel dimenticatoio dopo aver incarnato un celebre supereroe, e i suoi tentativi di tornare al successo recitando in una pièce tratta da Raymond Carver. Protagonista è Michael Keaton, il Batman di Tim Burton – altra carriera ben poco esaltante. Ma l’ammiccante cast (ci sono anche Edward Norton e Zach Galifianakis) non è l’unico motivo di interesse di una pellicola in apparenza tutta costruita per disorientare e far ricredere fan e detrattori. Onirismo, toni esagitati, virtuosismi tecnici (fotografia di Emmanuel Lubezki), effetti speciali: il Messico lurido di Amores perros è insomma lontano, come forse anche la Barcellona ipnotica di Biutiful. Nel bene e nel male, ci sarà di che meravigliarsi.
2) The Look of Silence (Joshua Oppenheimer)
The Look of Silence dell’americano Joshua Oppenheimer prosegue la ricognizione nella storia indonesiana iniziata con uno dei più discussi casi cinematografici degli ultimi anni, lo sconvolgente e pluripremiato The Act of Killing. Anche stavolta il film si concentra sulle centinaia di migliaia di morti avvenute durante le purghe anticomuniste tra il 1965 e il 1966, ma da una prospettiva opposta: se in precedenza Oppenheimer aveva infatti ricostruito il genocidio coinvolgendo materialmente due assassini, qui il punto di vista è quello delle vittime, e in particolare dei familiari di un uomo ucciso, costretti per anni al silenzio dal peso schiacciante della paura. C’è chi, tra gli addetti ai lavori, profetizza un’altra vittoria da parte di un documentario, dopo l’exploit di Sacro GRA nella scorsa edizione. Solo chiacchiere, naturalmente. Quel che conta davvero, in realtà, è la presenza in concorso di uno dei più audaci documentaristi in circolazione – scelta peraltro perfettamente in linea con la nuova politica di apertura al doc che ha caratterizzato le prime due edizioni del Barbera bis.
3) La rançon de la gloire (Xavier Beauvois)
Xavier Beauvois è un regista di talento, con molti buoni film alle spalle (anche da attore) e un’opera prima, Nord, tra le più promettenti del cinema francese degli anni Novanta. Nel 2010, il suo Uomini di Dio colpì critica e pubblico, strappando un Gran Premio a Cannes: la consacrazione definitiva, quella che può essere assicurata solo da un film drammatico di grande forza emotiva e riconosciuto rigore morale. Stavolta però, in quest’ultimo La rançon de la gloire, i toni sono tragicomici e i protagonisti tutt’altro che eroi silenziosi. La vicenda, ambientata nella Svizzera di fine anni Settanta, vede infatti due spiantati (Benoit Poelvoorde e Roschdy Zem) progettare il furto della salma di Charlie Chaplin, con tutte le prevedibili difficoltà del caso. Umorismo agrodolce e dichiarati omaggi alla commedia all’italiana: abbastanza per scommettere su una calorosa accoglienza lagunare.
4) Anime Nere (Francesco Munzi)
Le prime immagini dell’opera terza di Francesco Munzi sono dure e mostrano violenza, tensione e crudeltà. E’ l’Italia del crimine organizzato, dominata in silenzio dalle mafie e regolata da barbari riti arcaici: l’Italia di cui leggiamo quotidianamente sui giornali, trasfigurata da Gomorra e, in seguito, dagli emuli del filone gomorrista. In Anime Nere, Munzi pare muoversi all’interno del solco tracciato da Matteo Garrone, ma chi ha visto Saimir e Il resto della notte sa quanta centralità abbiano nel suo cinema le dinamiche criminali e la rappresentazione del presente attraverso storie di ordinario (fin troppo) disagio. Da questo “‘ndrangheta movie” ambientato in Aspromonte, sanguinosa storia di tre fratelli dediti al traffico di cocaina, è dunque lecito aspettarsi molto. Potrebbe davvero rivelarsi, come sussurrano alcuni, una delle sorprese del concorso.
5) The Humbling (Barry Levinson)
Tratto da L’umiliazione di Philip Roth, il film vede Al Pacino nei panni di un attore teatrale in crisi, alle prese con una depressione senza vie d’uscita e una giovane amante lesbica. Il settantaquattrenne divo americano, presente anche in concorso con l’altrettanto atteso Manglehorn di David Gordon Green, ritrova qui il premio Oscar Barry Levinson (già suo regista nel fortunato You Don’t Know Jack) e, dopo diversi passi falsi, una sfida attoriale finalmente degna del suo immenso talento istrionico. Perciò, compiuto dramma intimista o ennesimo sterile adattamento di un romanzo rothiano? L’aspettativa, visti i nomi coinvolti, è grande.
6) The Cut (Fatih Akin)
Il turco-tedesco Fatih Akin è, a detta della stampa internazionale, il grande favorito di questa edizione. Il suo The Cut ha le carte in regola per strappare il Leone: un kolossal storico girato con grandi mezzi e cast internazionale, epico e maestoso, incentrato sull’odissea di un sopravvissuto al genocidio armeno in cerca della sua famiglia, tra i deserti del Medio Oriente e le praterie dell’America di inizio secolo scorso. Presentato dal regista come un racconto di amore e speranza, il film colpisce per l’inedito respiro della narrazione e per l’ambizione innegabile dell’insieme. La nervosa vitalità del melò punk La sposa turca pare essere ormai solo un ricordo. Pur tra mille comprensibili perplessità, il titolo più atteso.
7) Hungry Hearts (Saverio Costanzo)
Per Saverio Costanzo vale lo stesso discorso fatto a proposito di Munzi: Hungry Hearts è il film destinato, con ogni probabilità, a chiarire dubbi e dare conferme. Gli ingredienti per una pellicola in grado di produrre suggestioni autentiche ci sono, e in abbondanza: due attori di talento (la nostra Alba Rohrwacher e l’americano Adam Driver), un romanzo di impatto (Il bambino indaco di Marco Franzoso, pubblicato da Einaudi), una disturbante storia di ossessioni e soprattutto un occhio registico che, persino nel fallimento, si è in passato mostrato incapace di scelte scontate. Certo, si dirà, anche La solitudine dei numeri primi partiva da presupposti simili, se non migliori. Tutto vero. Ma ora non resta che attendere il responso del grande schermo.
8) Il giovane favoloso (Mario Martone)
Una biografia di Giacomo Leopardi: quella che mancava, quella che nessun regista italiano si era arrischiato a realizzare. Ci ha pensato Mario Martone, raffinato teatrante prestato alla settima arte. Cinema colto, il suo, letterario e aristocratico: un vero corpo estraneo nel panorama italiano. Chi meglio di lui, dunque, per raccontare il poeta di Recanati? Mettere in concorso un film del genere, esponendolo alla spietatezza di una platea festivaliera subito pronta – immagino – a sghignazzare al primo verso di A Silvia o al primo accenno di gobba, è naturalmente un rischio. Un rischio enorme. Ma dopo l’ingiusta esclusione di Noi credevamo dai premi di quattro anni fa, Martone merita un’occasione di visibilità alla Mostra. E con lui Elio Germano, qui nel ruolo più ambizioso di un’intera carriera.
9) Tsili (Amos Gitai)
A un solo anno di distanza dalla presentazione al Lido dello splendido Ana Arabia, torna fuori concorso l’israeliano Amos Gitai, con un adattamento di Paesaggio con bambina di Aharon Appelfeld. Un film sulla Shoah, girato in yiddish: protagonista la giovane ebrea Tsili, costretta a sopravvivere nella natura per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste che hanno determinato lo sterminio della sua famiglia. Accorato narratore delle contraddizioni della vita e della storia di Israele, Gitai si trasferisce nel cuore dell’Europa sconvolta dal fuoco della guerra, rievocando la pagina più atroce del Novecento. Un titolo su cui puntare.
10) Pasolini (Abel Ferrara)
Forse il film veneziano di cui, in Italia, si è finora parlato e scritto con più foga e interesse. E non stupisce, visto il soggetto. Abel Ferrara racconta gli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini: sulla carta un’impresa cinematografica affascinante, inutile negarlo. Affascinante, incerta e vagamente improbabile come il drappello di attori (Willem Dafoe nel ruolo del poeta, Riccardo Scamarcio in quello di Ninetto Davoli) chiamati a reggere confronti impossibili. Sarà il Mishima di Ferrara? Sarà, dopo 4:44 Last Day on Earth e Welcome to New York, l’ennesimo soffocante dramma allucinato e repulsivo o un imprevedibile salto nel vuoto, un’opera di violenta rottura in grado di arrestare la necrosi che da tempo sta consumando il cinema del geniaccio newyorkese? La vera natura del film è misteriosa, almeno quanto le ultime ore di P.P.P., nuova oscura ossessione del più oscuro e ossessivo tra i registi attualmente in attività.
Massimo Lechi