di Renato Venturelli.
Il festival di Bari ricorda Luciano Vincenzoni, uno dei grandi sceneggiatori del cinema italiano, la cui notorietà è stata però per molto tempo secondaria rispetto a quella di altri grandi autori come Age & Scarpelli, Benvenuti & De Bernardi, Maccari, Sonego, Suso Cecchi D’Amico o Ennio Flaiano (“uno dei pochi ad avermi aiuitato davvero quando mi trovavo in difficoltà”). Deceduto qualche mese fa a 87 anni, Vincenzoni è stato in effetti uno dei personaggi più originali del cinema italiano, grande narratore e grande seduttore, ma soprattutto figura sempre leggermente eccentrica, un non romano che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, era amatissimo da Billy Wilder e ha svariato su tanti generi al di là della commedia.
Il BIF&ST 2014 lo celebra istituendo a suo nome il premio per la miglior sceneggiatura italiana della stagione, e riproponendo per l’occasione sullo schermo “Il grande bugiardo” di Claudio Costa, appassionante film-intervista del 2008 che da qualche tempo si può vedere anche in tv. Fin dal titolo è basato su un leitmotiv: Vincenzoni raccontava con grande vivacità episodi della propria vita che erano a dir poco incredibili, ma che poi venivano sorprendentemente confermati da altri testimoni, rivelandosi quindi autentici. La definizione di “grande bugiardo” la si deve del resto a Pietro Germi, che fu a lungo suo amico e collaboratore, anche se il loro rapporto fu inesorabilmente tempestoso come tutti quelli di Vincenzoni (del resto anche Germi aveva un carattere niente male…).
Nel film Vincenzoni ricorda che si dedicò alla scrittura dopo aver letto a diciott’anni, nel 1944, un libro folgorante come “Voyage au bout de la nuit” di Celine. E poi racconta tutta la sua vita come un avventuroso susseguirsi di momenti di disperazione, in cui si ritrovava completamente a terra economicamente, ma da cui è sempre riuscito a riemergere con un colpo di teatro. A Treviso, subito dopo la guerra, venne fermato per strada da un tizio cui aveva offerto tempo prima da bere, e che lo portò nel mondo del cinema. Agli anni ’50 risale invece l’aneddoto più celebre, riguardante Dino De Laurentiis: esasperato perché non riusciva a piazzare sceneggiature, un giorno Vincenzoni irruppe di forza nello studio del produttore, lo obbligò ad ascoltarlo, lo incantò per alcune ore e quando uscì dalla stanza gli aveva venduto ben sette soggetti. Tra questi, “La grande guerra”, “Il gobbo”, “Sacco e Vanzetti”, “I due nemici”…
I rapporti più famosi della sua carriera restano forse quelli con Pietro Germi e Sergio Leone. Per il primo scrisse “Il ferroviere”, “Sedotta e abbandonata” e soprattutto “Signore & Signori”, che si rifaceva direttamente all’ambiente della provincia veneta in cui era cresciuto: il loro rapporto procedette attraverso gli anni tra continui litigi e riappacificazioni. Per Leone fece “Per qualche dollaro in più”, ma soprattutto s’inventò su due piedi “Il buono, il brutto , il cattivo” per venderlo agli americani: ma da tutte le dichiarazioni si capisce che non ha mai digerito le prolissità “d’autore” di Leone, considerandole semplici lungaggini di un regista che non sapeva tagliare il proprio lavoro. Infine, il grande tormento: quello di essere stato invitato da Sharon Tate proprio la sera in cui avvenne la strage dei seguaci di Manson. Doveva andarci con Leone ed altri, ma preferì recarsi da un produttore di cui corteggiava le figlie: evitò per miracolo di restare vittima della carneficina, ma forse anche di impedirla fronteggiando gli assassini insieme agli altri amici.
(renato venturelli)
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