di Furio Fossati
Sorridente, comunicativo, felice di potere vedere assieme al pubblico del Transilvania International Film Festival il suo Blancanieves (2012) all’interno del castello Bánffy a Bonţida, Pablo Berger dimostra di amare molto questo film che ha richiesto otto anni di preparativi e un budget molto elevato, nonostante possa dare l’impressione opposta a causa del bianco e nero e dell’assenza del parlato.
– Come ti è venuta l’idea per questo film?
“Vedendo un documentario sul muto europeo, mi sono reso conto del grande valore presente in autori quali Murnau e Lang, solo per citare i primi due che mi vengono in mente, che spesso sono più noti al grande pubblico più di nome che non per avere visto i loro lavori. Per questo, ho voluto fare un film in cui i loro insegnamenti fossero chiaramente presenti evitando di utilizzare gli attuali effetti speciali che spesso rendono l’opera del regista più limitata.”
– Hai avuto difficoltà per realizzarlo.
“Sì, dall’esterno sembra che in Spagna sia più facile realizzare anche opere di nicchia. In realtà ci sono molti limiti imposti dagli Enti pubblici e, alla fine, ho dovuto cercare fondi anche in Francia. Comunque, avere vinto 10 Goya ha dimostrato, spero, che il finanziamento ottenuto sia stato bene riposto”
– Quale la ragione di questa commistione di fiabe in un film che appare pensato soprattuto per un pubblico adulto e non per quello infantile?
“Ho una figlia che è nata proprio quando iniziavo seriamente a pensare al film e mi ha divertito unire fiabe note a tutti quali Biancaneve e i sette nani, Cenerentola e La bella addormentata nel bosco in una vicenda indirizzata ad un pubblico che queste fiabe forse le aveva dimenticate. Da ognuna di queste storie ho preso solo alcuni spunti, inserendoli nella storia di Carmen, sfortunata figlia di un noto toreador paralizzato, orfana di madre dalla nascita, trattata come una serva dalla matrigna che, alla fine, le dà anche la mela avvelenata.”
– Vi sono spunti melò, da commedia brillante, da musical. Come definiresti il tuo film?
“Mentre prendeva forma la sceneggiatura, ho sempre pensato ai ritmi dell’opera lirica, in cui si uniscono momenti di serenità ad altri molto più drammatici. Oltretutto, anche qui la musica è molto importante tanto da avermi ispirato alcune scene tra le più belle. Devo dire che il rapporto tra me e Alfonso Vilallonga è stato continuo, direi che io ho condizionato la colonna sonora e viceversa.
– Viene spontaneo, guardando il film, pensare a The Artist (2011). Cosa hanno in comune i due film e cosa li differenzia?
“Innanzitutto, tengo a precisare che il mio è stato girato prima di quello ben realizzato da Michel Hazanavicius. Quindi, il mio non è stato realizzato tenendo presente quella produzione francese. Michel ha fatto un omaggio al cinema statunitense di quegli anni, io ho cercato di riproporre le atmosfere che si vivevano nei film europei degli anni ’20. Mi sono ispirato a Greed (Rapacità, 1924) di Eric Von Stroheim e il film contiene alcuni riferimenti a Carl Theodor Dreyer e Abel Gance. La tecnica di ripresa è molto differente.”
– Puoi approfondire questo particolare?
“The Artist utilizza le riprese per ricreare le atmosfere di quegli anni con un omaggio totale in cui il lavoro finale appare come fosse stato realmente creato quando il film è ambientato. Il mio modo di intendere l’immagine è invece molto differente. Le inquadrature sono in continuo movimento, la macchina da presa è utilizzata con una miriade di differenti angolazioni, ho utilizzato il 16 millimetri che per me è più duttile del 35, e ho inseguito i personaggi in quello che facevano, non li ho mai semplicemente inquadrati. Immagini volutamente cloni di quelle degli anni ’20 alternate ad altre in cui nonostante il bianco e nero sono chiaramente attuali, col tentativo di creare emozioni forti. La foto per me è come il jazz: melodia orecchiabile e tante improvvisazioni che rendono più interessante ogni cosa”.
– Pepe, il gallo unico amico di Carmen\Cenerentola, è bravissimo. Come lo avete addestrato?
“Non ci crederai, ma ha vissuto assieme a me a Madrid per 6 mesi nel nostro appartamento e piano piano è divenuto uno di famiglia, coccolato anche da mia figlia e mia moglie. Doveva fare in maniera naturale varie cose, tipo salire su mobili o stare completamente fermo mentre l’azione lo ritraeva in una posizione come d’ascolto. Lui sembra si divertisse ed aveva anche capito le regole della corretta convivenza. Ho girato moltissime immagini, tanto che il mio prossimo lavoro, se non avessi finanziatori per un altro film, potrebbe essere un documentario su di lui. Lo dico scherzando, ma mia figlia ne sarebbe felicissima e, chissà, forse prima o poi la accontenterò.”
– Angela Molina è la nonna materna. Come giudichi la sua prova?
“Ad Angela ho semplicemente detto come caratterizzare il personaggio e lei me lo ha regalato pronto per essere presentato nel film. E’ dolce, sempre presente, aiuta Carmen ad avere una vita normale nonostante la madre sia morta di parto ed il padre sia costretto dalla matrigna a non farle visita. E’ pensierosa ma sempre pronta a donare un sorriso, felice di potere sostituire i genitori della nipotina ma triste per questa mancanza di normalità. E’ un’attrice splendida che incarna in sé tutta la grande cultura teatrale spagnola, il senso del dramma e del melodramma. Il suo è sicuramente il personaggio più importante della prima parte.
– Hai diviso la vicenda in tre parti ben distinte, sempre pensando all’opera lirica??
“Sì, tre atti della stessa vicenda che potrebbero essere proposti anche separatamente. L’amore dei genitori, la nascita di Carmen e la sua vita da orfana serena rappresentano il giusto inizio per una vicenda drammatica che meglio si svilupperà nei successivi atti. La morte della nonna ed il trasferimento nelle cantine della villa del padre come Cenerentola ha momenti molto drammatici ma anche la gioia della bimba nello scoprire che il padre la ama e che avrebbe voluto esserle sempre vicino: per gioco, le insegna la tauromachia e lei impara i movimenti e l’arte del torear. Termina l’atto con la matrigna che dà l’ordine all’autista/amante di ucciderla e lei che viene salvata da 6 nani che lavorano in uno spettacolo viaggiante. Il terzo atto vede Los hermanitos toreadores divenire la sua famiglia, bene accettata nonostante abbia perso la memoria. Sono loro che, pensando alla fiaba dei fratelli Grimm, la ribattezzano Blancanieves, sono loro che involontariamente le fanno capire di essere un vero torero. Da questo momento trionfi uniti a gioia e dolore con un finale tra il drammatico ed il grottesco.”
– Il finale appare aperto. Una scelta o un’esigenza?
“A dire il vero, a me piace che il pubblico collabori con me, che sia costretto a pensare oltreché vedere il lavoro fatto da altri pedissequamente. Credimi, è molto bello sentire come lo avrebbe voluto ogni persona con cui ho parlato. Qualsiasi finale è quello giusto, il migliore, se è stato pensato da chi ha visto ed amato il film”.
– Questo è il tuo secondo lungometraggio. Parlaci della tua opera prima.
“Quando vado in giro per Festival porto sempre con me mia moglie così sono sicuro che almeno una persona lo abbia visto. Torremolinos 73 (2003) è stato distribuito nel 2006 anche nel tuo paese, ma credo che in pochi se ne siano accorti. E’ ambientato nella Spagna franchista degli anni ’70 con protagonista un venditore di enciclopedie a cui il capo propone di partecipare ad un nuovo progetto editoriale che potrebbe far guadagnare ad Alfredo molti soldi: girare insieme alla moglie Carmen una serie di film erotici in Super8 destinati al mercato scandinavo col nome di Enciclopedia Danese Mondiale della Riproduzione. All’inizio Alfredo e Carmen sono stupiti, ma poi decidono di partecipare al progetto, anche perché con i soldi guadagnati potrebbero permettersi di avere un figlio. I film riscuotono grande successo e i coniugi diventano delle celebrità, ma non assaporano la felicità della nuova posizione economica perché Carmen non riesce a rimanere incinta. La tensione in famiglia cresce sempre più finché Alfredo decide di girare un film ispirato ad Ingmar Bergman. Anche questo film ha ottenuto il plauso della critica ma poco riscontro al botteghino.”
– Tuoi progetti per il futuro?
“Tanti, tantissimi ma soprattutto il desiderio attuale che in molti possano vedere quello che ho già realizzato.”
Furio Fossati