“La città ideale” di Luigi Lo Cascio


Presentato alla “Settimana della Critica” durante l’ultima Mostra del Cinema di Venezia, La città ideale è l’esordio alla regia dell’attore Luigi Lo Cascio, già interprete di film come I cento passi, La meglio gioventù, Noi credevamo, solo per citare i più conosciuti.

Il film racconta la vicenda ironica e kafkiana di Michele Grassadonia (interpretato dallo stesso Lo Cascio), architetto ossessivamente ecologista che si ritrova coinvolto in un ambiguo incidente stradale, evento che lo porterà a confrontarsi con la certezza dei suoi valori e con la macchina della giustizia.

L’autore ha incontrato il pubblico del Cinema Massimo di Torino giovedì 11 aprile (data dell’uscita del film in Italia), con cui ha approfondito alcuni punti focali del suo lavoro.

L’opera è stata definita un “thriller morale”, in quanto la vicenda giudiziaria e misteriosa rende possibile il percorso  psicologico e identitario del protagonista: «Il mio film si può certamente collocare nel giallo o nel noir, ma ciò che in realtà risulta centrale è l’etica, non perché si vogliono propugnare dei valori, ma in quanto Michele è alla ricerca di una verità molto personale e interiore» spiega il regista.

Ed è proprio il tema del percorso morale ad essere emerso durante il dibattito – moderato dal direttore del Museo del Cinema e del festival di Venezia Alberto Barbera -, un percorso che costringe l’individuo a mettere in dubbio i propri valori e, soprattutto, la loro resistenza e infallibilità:  «Quella di Michele è una parabola in cui il sogno di purezza – con i suoi principi certi e assoluti – poco a poco s’infrange e viene smascherato» afferma l’autore, aggiungendo che «le istanze del protagonista – come il rispetto dell’ambiente – sono condivisibili, ma possono diventare opprimenti se portate all’eccesso. Proprio come fa Michele, il quale impone ai colleghi troppe regole da rispettare, eleggendosi in qualche modo a tutore della legge e dell’ordine. In questo senso avviene un rovesciamento, in quanto dopo l’incidente il protagonista passa dalla parte del “giudice” a quella dell’indagato».

Le tappe del cammino psicologico dell’eroe sono segnate da alcuni personaggi particolarmente significativi, i quali mettono in discussione l’automatismo e la resistenza dei suoi valori morali di fronte a una giustizia repressiva e a una società corrotta e opportunista. Tali figure (soprattutto i due avvocati e il magistrato) risultano inoltre sinistre e grottesche, dando talvolta l’impressione di provenire da un universo quasi surreale e labirintico, regolato da dogmi assurdi e incomprensibili, ricordando così romanzi come Il processo e Il castello.

Lo Cascio non nega questi riferimenti , ma li colloca soprattutto nella sfera psicologica-giudiziaria, affermando che: «se nel film c’è qualcosa di un po’ kafkiano è nel mostrare quanto la giustizia assorba completamente l’essere umano, che in quel momento non riesce a vedere altro al di fuori della propria condizione di imputato».

Temi come lo smarrimento e il viaggio interiore dell’eroe non sono riscontrabili solo nella  narrazione, ma anche nelle atmosfere cupe e quasi irreali, rese possibili dalla fotografia, dalla colonna sonora e, soprattuto, dalla messa in scena. Quest’ultima, oltre ad unire spesso angoscia e ironia, in alcune brevi sequenze preferisce seguire il flusso di coscienza di Michele piuttosto che l’ordine cronologico degli eventi, trasmettendo “in diretta” i pensieri e  i sentimenti del protagonista.

Nonostante tutto ciò risulti talvolta un po’ forzato e non del tutto riuscito, si ha il dovere di riscontrare la salda presenza di una certa autorialità e idea di cinema. Tale caratteristica si è potuta osservare anche durante il dibattito, dove l’autore ha dimostrato piena consapevolezza rispetto alle scelte attuate, a partire, per esempio, dalla location senese: «Ho sempre pensato a Siena come “città ideale” perché credo che sia il comune più rappresentativo di un archetipo urbano che non esiste più. È una città a misura d’uomo, circondata dalle campagne, custodita dai contraioli, che raccontano e tramandono le tradizioni. Siena è un posto dove è presente un chiaro e cosciente rapporto dei cittadini con gli importanti luoghi in cui vivono» spiega Lo Cascio.

Nonostante questo, il cineasta afferma che non si sente ancora del tutto inserito nella nuova veste di autore: «Credo che un vero e proprio regista possieda uno sguardo così personale da riuscire a rendere suo anche un testo non scritto da lui. In tal senso, non mi sento pienamente un regista, in quanto i tre testi teatrali che ho messo in scena erano tutti scritti da me e non ho mai curato la regia di un copione non mio. Lo stesso vale per il film: non l’avrei diretto se non ci fosse stata la mia sceneggiatura, una storia che mi stava a cuore e una certa idea di messa in scena».

Idea che – tra pregi e difetti, punti di forza e di debolezza – risulta presente e che nel complesso fa ben sperare per un’eventuale opera seconda.

 

(di Juri Saitta)

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