QUARTET di Dustin Hoffman. Nel mondo chiuso degli artisti


Un tempo era il festival “Cinema Giovani”, adesso che si chiama semplicemente Torino Film Festival può permettersi di aprire con il film d’esordio del 75enne Dustin Hoffman, tutto ambientato all’interno di una casa di riposo per cantanti lirici e interpretato da un cast di vecchie glorie tra i settanta e gli ottant’anni. Ma da parte di Dustin Hoffman la scelta è significativa: il suo “Quartet” è un omaggio all’attore che viene celebrato all’interno della residenza più protetta possibile, in una dimensione quasi totalmente isolata da ogni rapporto con l’esterno, ispirata a un collaudato testo teatrale, ambientata in Inghilterra tra grandi artisti della scena che guardano solo a se stessi e al loro lavoro. Un esordio lontano dal mondo, ma tutto interno all’arte dell’attore.
All’origine c’è una pièce di Ronald Harwood, lo sceneggiatore di Il pianista, andata per la prima volta in scena nel 1999. E l’ambiente chiuso è quello di Beecham House, dove i vecchi musicisti e cantanti passano le loro ultime giornate tra canzoni, capricci, malinconie e residue illusioni. Ma il destino dell’istituzione rischia di essere segnato se non arrivano nuovi finanziamenti: e l’unico modo possibile per tenerla in vita sta nel riproporre durante la giornata verdiana il quartetto del Rigoletto che alcuni ospiti del ricovero avevano già eseguito per una leggendaria incisione d’altri tempi. L’operazione diventa possibile quando arriva anche l’ultima componente di quella formazione, il leggendario soprano interpretato da Maggie Smith, subito accolta tra grandi applausi e l’ostilità dell’ex-compagno Tom Courtenay. Convincere l’ostinatissima star a partecipare alla nuova esecuzione sarà però un’impresa molto difficile.
Hoffman non gioca con gli specchietti facili, con i metalinguaggi o con i meccanismi dell’arte nell’arte, che pure aveva a portata di mano. Prende un cast di grandi interpreti e si mette al servizio loro e di ciò che incarnano: Dame Maggie Smith, Sir Tom Courtenay, Pauline Collins, Albert Finney, Michael Gambon… Un omaggio all’attore, vanesio, capriccioso, eppure anche generoso nel suo darsi interamente all’arte: cinema tradizionale e senza sorprese, ma anche concepito come esemplare atto di modestia, perché Dustin Hoffman regista si concentra scrupolosamente sui tempi, sugli spazi, su una meccanica dello spettacolo e su un’etica dell’umile artigianato intesi come il più naturale approdo di una carriera di oltre mezzo secolo.

(renato venturelli)

Postato in 30° Torino Film Festival, Festival.

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