Il thriller ha dato vita ad una sezione a sé di FESTROIA 28, un festival pieno di idee che la mancanza cronica di un budget milionario ‘costringe’ ad inventare momenti interessanti ma che abbiano costi limitati. Tredici titoli soprattutto di cinematografie europee meno note, un’affluenza di pubblico notevole tanto da costringere ad aggiungere alcune proiezioni: questo è il piccolo miracolo di Setùbal in Portogallo.
Matka Teresa od kotów (Madre Teresa dei gatti – Polonia – 2010 – Regia Pawel Sala – interpreti Ewa Skibinska, Mateusz Kosciukiewicz, Filip Garbacz) basato su un avvenimento realmente accaduto che ha scioccato la Polonia negli anni ’90, ha una forma narrativa accattivante e non frequente, con la stringatezza del documentario, genere da cui l’autore proviene. Il film inizia con l’arresto dei fratelli Artur (22) e Marcin (12), in un motel di provincia colpevoli di avere brutalmente ucciso la loro madre. La storia viene raccontata andando indietro inizialmente a poche ore precedenti l’intervento della Polizia, per proseguire al giorno prima, a due, a tre, fino ad arrivare, attraverso uno scandire di settimane e mesi, ad oltre un anno. Teresa lavora come modesta impiegata in un’assicurazione, il figlio adulto è uno spostato che domina il fratello, il padre è militare di carriera da poco rientrato dall’Iraq e senza lavoro. Oltre loro, una figlia ritardata, una ragazza che si occupa di lei e decine di gatti raccolti per strada, autentici padroni della casa. Nessuno è realmente normale, la pazzia latita ed esplode varie volte, con accuse al veterano di violenza ai figli e suo abbandono della casa, il distacco del dodicenne dalla scuola voluto dal fratello per meglio gestirlo ma avvallato per debolezza dalla madre, la psicotica mania di raccogliere gatti randagi per strada. Non vi è una vera ragione per questo omicidio, forse la noia. Interpretato dall’intenso Mateusz Kosciukiewicz, il personaggio di Artur ha assoluta normalità in ogni frangente. Gli altri sono tutti bravi e perfettamente scelti per i personaggi a cui devono dare vita.
Kriegerin (Ragazze combattenti – Germania – 2011 – Regia David Wnendt – interpreti Alina Levshin, Jella Haase, Sayed Ahmad Wasil Mrowat) è un thriller anomalo. Racconta di una piccola città come tante, identificabile in una qualsiasi apparentemente tranquilla realtà di provincia. Marisa, Melanie, Benny and Svenja sono un gruppo di ragazze giovani neo-naziste divenute tali più per moda che per credo, più per avere qualcosa da fare che non per un’impostazione politica. La ventenne Marisa ha i capelli rasati sulle tempie, molti tatuaggi tra i quali la svastica: crede di odiare gli stranieri, ebrei, negri e tutti coloro che hanno occupato la Germania rubandola a loro che sono i ‘veri’ padroni. Quando arrestano il fidanzato, il suo odio si acuisce ma viene messo in dubbio al momento in cui conosce due fratelli afghani Rasul, 14 anni, e il più adulto Jamil che sono bloccati lì ma che vorrebbero raggiungere la Svezia per ricongiungersi a conoscenti e parenti. Li incontra perché vittime di una bravata del branco e si rende conto che sono ragazzi come lei. Vive col più giovane un’amicizia vera, che diviene pericolosa quando il fidanzato esce di carcere. Ha il dubbio sul da farsi ma, alla fine, sceglie pur sapendo i rischi che corre. E’ un’opera di denuncia ben realizzata, che mette in evidenza la realtà dei nazi-skin mai realmente scomparsa. Diretto e scritto da David Wnendt, fa venire i brividi per quanto racconta, per quanto fa vedere senza giudicare. Interpretato dalla bravissima Alina Levshin, non lascia indifferenti.
L’enfance du mal (Dolce diavolo – Francia – 2009 – Regia Olivier Coussemacq – interpreti Pascal Greggory, Anaïs Demoustier, Ludmila Mikaël) è un thriller classico nei contenuti e nello sviluppo scritto e diretto dal francese Olivier Coussemacq. Ed è proprio in questo senso del già visto il limite maggiore di un lavoro senza onore né ignavia. Celine ha quindici anni, la madre in carcere, una maturità ben superiore a quella di un’adolescente. Aiutata dal fidanzatino, ricatta uomini che vogliono accompagnarsi a lei, ai quali prende molto denaro, ma non si limita a questo; si trasferisce nel giardino di bella villa e si fa scoprire dal proprietario, un giudice che, impietosito, le offre un pasto caldo. La moglie sente subito feeling per lei che vede come la figlia che non ha mai avuto. Tra alti e bassi, il rapporto della nuova famiglia temporanea sembra andare per il meglio se la ragazza non si facesse mettere volutamente incinta. Più di questo non è lecito dire, si può aggiungere che tutto fa parte di un programma per far uscire dal carcere la madre: a suo modo, Celine è una brava ragazza. L’ingenuità del giudice è difficile da credere e da sopportare, la moglie alterna eccessivi slanci di amore e di astio, il fidanzatino è un normale ragazzo borghese che per lei si trasforma in delinquente, Celine è poco credibile sia come mangiatrice di uomini sia come ingenua ragazzina. Anaïs Demoustier quando ha girato il film aveva venticinque anni e fisicamente era poco adatta ad essere scambiata per una quindicenne, Pascal Greggory è un giudice che non crede per un attimo a quello che fa e dice, Ludmila Mikaël innervosisce per una prova in cui mai sembra mettere autentico impegno.
Présumé Coupable (Presunto colpevole – Francia – 2011 – Regia Vincent Garenq – interpreti Philippe Torreton, Wladimir Yordanoff, Noémie Lvovsky) è sicuramente uno dei più interessanti thriller proposti a Setùbal. Basato sulla vera storia di Alain Marécaux, è un esempio di come l’accanimento giudiziario possa trasformare in mostri degli innocenti. L’uomo e sua moglie vivono assieme ai due figli in un misero sobborgo di Boulogne-sur-Mer. Una tragica notte del 2001 irrompe la Polizia, che lo tratta come un pericoloso malvivente e lo accusa di appartenere ad una pericolosa banda di pedofili franco belgi che, tra l’altro, avevano usato anche i propri figli nei filmati porno. Assieme a lui, altre dodici persone: ma per lui l’accusa è anche di avere abusato del figlio. Domande non invasive fatte ai ragazzini con l’aiuto degli psicologi portano a risposte che il giudice inquirente valuta come accuse pesanti. La madre dell’uomo muore, la moglie lo lascia, i figli vengono affidati ai nonni. Pur avendo un avvocato che gli crede, nonostante l’assoluta mancanza di prove, rimane in prigione. Fa un lunghissimo sciopero della fame, si rivolge alle autorità e, alla fine, ogni accusa decade. Il film è tratto dal libro Chronique de mon erreur judiciair scritto da Alain Marécaux stesso, come tragico diario di un’avventura che non deve essere dimenticata e deve fare riflettere sull’infallibilità che certi magistrati credono di avere. Splendida la prova di Philippe Torreton, che, per vivere meglio il personaggio, ha realmente perso più di venti chili. Il film gira tutto attorno a lui ed il suo personaggio è perfettamente delineato; gli altri sono appena accennati e questo è l’unico difetto del film ottimamente diretto da Vincent Garenq, lo stesso della discreta commedia Baby Love.
De bende van Oss (La banda di Oss – Olanda – 2011 – Regia André van Duren – interpreti Sylvia Hoeks, Matthias Schoenaerts, Frank lammers) interessa più per la storia che non per l’effettiva riuscita del film. Diretto nel 2011 dal televisivo André van Duren, la storia raramente appassiona e riesce a essere leggibile come buon esempio di thriller. Non che la tensione manchi, ma troppo spesso si ha la sensazione che il film sia stato alleggerito di varie scene e che quindi la narrazione risulti poco chiara. Il film ha tempi e durate televisive (circa due ore) che male si adattano ad un thriller cinematografico. Nel 1930, la città olandese di Oss è coinvolta in un’incredibile ondata di criminalità dovuta alla temibile De Bende van Oss (la banda di Oss). Johanna, giovane proprietaria di avviata caffetteria, cerca di togliersi dal giogo di questa violenza aiutata dal marito ma ostacolata dallo zio autoproclamatosi capo della banda. Il marito è sedotto dal mondo della criminalità organizzata e il suo rapporto con la moglie peggiora sempre più, soprattutto quando vorrebbe convincerla ad abortire. Non è lecito aggiungere altro, diremo solo che tutto si complica, che l’incredibile diviene materia di narrazione, che il marito è a dir poco inaffidabile. Se il film riesce ad essere accettabile, lo deve soprattutto a Sylvia Hoeks, attrice che sa trasformare fisicamente ma anche caratterialmente un personaggio particolarmente difficile senza potere contare su di una sceneggiatura autenticamente valida. Meno convincenti Matthias Schoenaerts e Frank lammer. Bella l’ambientazione, ottima la scelta di un colore con tonalità da bianco e nero, mediocre la regia.
Sennentuntschi (Sennentuntschi: Maledizione delle Alpi – Svizzera – 2010 – Regia Michael Steiner – interpreti Roxane Mesquida, Nicholas Ofczarek, Andrea Zogg) costruisce le atmosfere da thriller attraverso un crescendo di timori, di mezze verità, di situazioni a livello del paranormale. Diretto con mestiere dal quarantenne Michael Steiner che s’ispira a molti film precedenti, ha un certo decoro. Suo il soggetto, in parte anche la sceneggiatura. Dal lontano medio evo si narra che nelle Alpi svizzere gli uomini soli creavano una bambola che prendeva vita ed era loro compagna per il corso della vita: creature dalle fattezze femminili ma dallo spirito di lupi. Siamo nel 1975 in un remoto villaggio di montagna e una donna di una bellezza selvaggia appare come dal nulla. Il poliziotto del villaggio è l’unico che si avvicina alla donna muta per cercare di capire chi sia, per aiutarla, per permetterle di trasformarsi in un essere umano, nella speranza di potere capire da dove proviene, chi è, chi la ha ridotta così. Dando credito a questo mito, al villaggio pensano che lei possa provenire da Höhenalp dove i montanari fanno cose inimmaginabili pur di avere una compagnia femminile e combattere l’insopportabile solitudine. Fatti molto personali che nessuno avrebbe mai voluto svelare vengono alla luce: una storia di desiderio e follia che forse in molti conoscevano minaccia di trascinare tutto il paese nel baratro. La bellissima francese Roxane Mesquida interpreta con bravura un personaggio che ha molte affinità con Il ragazzo selvaggio di François Truffaut.
Fine mrtve djevojke (Fine Dead Girls – Croazia – 2002 – Regia Dalibor Matanic – Interpreti Olga Pakalović, Nina Violić, Kresimir Mikić, Inge Appelt) è stato scelto dalla delegazione croata, ospite ufficiale del festival, come migliore esempio della loro produzione cinematografica nell’ambito del thriller. Il film era uscito anche in Italia ma non in tutte le città. Iva e Marija, una coppia di lesbiche, affitta appartamento a Zagabria in edificio che sembra essere tranquillo, un ambiente perfetto per il loro amore. Nello stesso edificio vive Olga con il marito e il figlio Daniel, Lidija che lavora come prostituta, un ginecologo che esegue aborti clandestini, una casalinga che subisce violenze, un ex-soldato che ascolta di notte musica militare e un vedovo che tiene il cadavere della sua moglie appena deceduta a casa. Mentre Olga spera che una delle ragazze possa divenire compagna del figlio, paga Lidija per cercare di sedurre Iva, al fine di porre fine alla sua storia d’amore con Marija. Nessuno di loro riesce nei propri intenti, e quando tutti i vicini scoprono sono lesbiche, l’atteggiamento verso la coppia diventa sempre più aggressivo. E’ solo questione di tempo perché la vicenda si trasformi in dramma. Il film è ben costruito con situazioni di ordinaria follia, forse il migliore diretto da Dalibor Matanic (gli altri non sono mai stati circuitati in Italia).
Unter nachbarn (Il buon vicino – Germania – 2011 – Regia Stephan Rick – interpreti Maxim Mehmet, Charly Huebner, Petra Schmidt-Schaller) è un gradevole film a due personaggi costruito in maniera classica, prevedibile negli sviluppi ma non per questo da considerare completamente negativo. Grazie soprattutto alla bravura dei protagonisti, la storia regge ed il film diverte. David è un giovane giornalista, irrequieto e ambizioso, che si trasferisce in altra città per fare carriera. Conosce il suo vicino di casa che sembra essere molto disponibile e cordiale; ben presto divengono amici anche se non hanno molto in comune. Una sera, tornando dal bar, investe un ciclista; con lui in macchina c’è l’altro uomo che lo convince a non prestare soccorso perché sicuramente già morto (mentendo, dice di essere infermiere). Mentre scioccato è a casa, l’amico getta in un lago l’auto incidentata: così facendo spera che il nuovo vicino di casa sarà irreversibilmente legato a lui. Il giornalista incontra la sorella della vittima alla conferenza stampa della Polizia per l’incidente, gli viene affidato il caso e lui, sempre più in crisi, vorrebbe confessare tutto. Ma non ha tenuto conto del suo vicino che non lo vuole perdere.
Harjunpää ja pahan pappi (Sacerdote del male – Finlandia – 2010 – Regia Olli Saarela –interpreti Peter Franzén, Irina Björklund, Sampo Sarkola) ha come protagonista un poliziotto onesto, o quasi, che lavora per il Dipartimento Crimini Violenti di Helsinki. Mentre cerca di risolvere casi affidatigli, vive un dramma interiore: la perdita di sua figlia in circostanze tragiche. Mentre cerca di arrestare l’assassino di sua figlia, l’uomo deve indagare su una serie di morti in stazioni della metropolitana di Helsinki, giungendo alla conclusione che siano opera di un serial killer. Scopre il colpevole, ma da quel momento deve stare attento a non essere da lui ucciso. Teso, bene interpretato, diretto in maniera accettabile da Olli Saarela, segue le regole collaudate del genere non volendo essere originale e cercando soltanto di creare la giusta tensione.
Syvälle salattu (Corpo d’acqua – Finlandia – 2011 – Regia Joona Tena – interpreti Krista Kosonen, Peter Franzén, Kai Lehtinen) è un altro film di produzione finlandese, diretto malamente dal regista televisivo Joona Tena. E’ cupo, spesso poco comprensibile, con una narrazione che punta tutto sulla inespressiva Krista Kosonen, anche lei con esperienze quasi unicamente del piccolo schermo. Julia, giovane avvocato, lascia dietro di sé la sua esistenza confortevole in città e raggiunge con suo figlio il villaggio natale dei genitori dove la natura selvaggia e le credenze di riti magici giocano un ruolo importante. Segue i lavori di una società che sta operando su di un lago rischiando di rovinare l’ecosistema, ma lei è l’unica interessata all’interruzione di queste attività. Soggiorna in una casa accanto a un luogo in cui, secondo la leggenda, un uomo aveva sacrificato suo figlio in cambio di ricchezza; ben presto la casa inizia ad animarsi, come se fosse abitata da spiriti. Per riuscire a tacitare queste forze oscure, deve indagare nel passato venendo a conoscenza di terribili segreti.
Dictado (Giochi da bambini – Spagna – 2011 – Regia Antonio Chavarrias – interpreti Juan Diego Botto, Bárbara Lennie, Mágica Pérez) racconta di una situazione di disagio provocata da una bimba che si inserisce nel rapporto di coppia già in crisi. Il film è stato presentato con discreto successo all’ultimo festival di Berlino. Daniel riceve l’inattesa e non desiderata visita di amico che non ha più incontrato da quando era bambino. L’uomo insiste per fargli incontrare la figlia, una bimba di sette anni; la stessa notte l’amico si suicida. Al funerale, Daniel e la moglie conoscono la ragazzina che dopo la morte del padre è stata data in affidamento a famiglia. La donna convince le autorità che la cosa migliore per la piccola sia stare con lei e Daniel, ma ben presto la sua presenza nella casa inizia ad avere un effetto negativo sulla coppia. Inoltre, nella mente dell’uomo cominciano a riaffiorare paure e ricordi che pensava di aver sepolto da tempo. Il film non delude gli appassionati del thriller anche se è valutabile con una stiracchiata sufficienza.
Evil (Il male – Slovacchia – 2012 – Regia Peter Bebjak – interpreti Kamil Kollárik, Andrej Dúbravský, Richard Felix) è il film più deludente visto a Setùbal. Il regista proviene dal documentario e cerca di inserire questa tecnica girando con la macchina da presa a spalla, imitando o copiando completamente gli innumerevoli suoi predecessori siamo come inquadrature che come storia. Un gruppo di amici realizza video su presunti fenomeni paranormali. Un uomo li sfida a girare all’interno di una casa maledetta e il gruppo accetta. Ma quando la casa inizia a rivelare i segreti più terribile, quello che sembrava uno scherzo di cattivo gusto si presenta come un terribile incubo. La lotta per la sopravvivenza ha inizio, ma non tutti ce la faranno. E, aggiungiamo noi, tra il pubblico in molti saranno vittime delle immagini ridicole tanto che non vedranno la fine del film ma non perché morti, bensì perché scapperanno dalla sala.
(di Furio Fossati)