Il trentanovenne regista californiano Harmony Korine, già autore di film proiettati alle scorse edizioni del festival di Venezia come Gummo (1997) e Julien Donkey-Boy (1999), quest’anno porta alla mostra quella che è l’opera che più ha diviso la critica internazionale: Spring Breakers.
Qualcuno ha accusato il film di essere un lavoro trash che copia l’estetica patinata alla Mtv, altri invece l’hanno apprezzato proprio perché usa le immagini tipiche di certa televisione per criticare i falsi valori che esse rappresentano e che trasmettono alle nuove generazioni.
Volgendo uno sguardo più ampio sul programma veneziano, Spring Breakers può essere considerato in un certo senso l’anti Apres mai della mostra. Quanto il film di Assayas ha convinto più o meno tutti raccontando con una regia equilibrata, classica e senza sbavature una generazione (quella degli anni ‘60/’70) che ha perlomeno cercato di inseguire i propri ideali e le proprie ideologie, quanto il lavoro di Korine ha fatto discutere basandosi su uno stile eccessivo e grottesco per descrivere una generazione (più o meno quella di questi anni) senza valori, che ha come principale scopo il divertimento senza limiti e senza sosta.
In sintesi, la trama è la seguente: quattro ragazze in occasione delle vacanze di primavera partono per le spiagge affollate in Florida, luoghi di feste sfrenate, in cui la musica assordante, l’alcol, la droga e dei giochi più o meno erotici la fanno da padroni.
Dopo diverse sbornie, le quattro vengono arrestate in una retata. A liberarle su cauzione sarà a sorpresa un rappista-gangster (interpretato da un bravissimo James Franco, volutamente sopra le righe) che farà continuare le loro vacanze interrotte aggiungendo “solo” un altro elemento: l’utilizzo delle armi da fuoco.
Anche se la trama e i suoi sviluppi possono apparire assai bizzarri e a tratti persino demenziali, Spring Breakers non è affatto un classico teen movie da liquidare in due minuti, ma risulta al contrario una complessa opera generazionale che descrive e critica un certo tipo d’immaginario e di valori con cui è cresciuta una parte dei giovani degli ultimi 10/15 anni.
Korine compone un ritratto di una generazione che ha completamente perso lo sguardo sulla realtà e che ha come unico desiderio quello di vivere in una vacanza permanente, una generazione che s’identifica sì con il sogno americano – spesso citato da James Franco –, un sogno che però non ha nulla a che vedere con quello medio borghese e perbenista dell’american way life, ma che risulta piuttosto quello trasformato e deformato da una certa cultura pop che vede nella ricchezza facile e volgarmente esibita il suo più “alto” obiettivo.
Per descrivere tutto ciò, il regista utilizza uno stile molto particolare. Le immagini, a partire dai titoli di testa, sono davvero molto patinate e a tratti persino kitsch, ma sono proprio queste esaltazioni e tali eccessi a rivelare l’intento ironico e grottesco del regista: le scene delle feste in spiaggia e delle serate alcoliche sono così volgari e di cattivo gusto da risultare volutamente sgradevoli e rivoltanti; certe scenografie e certi costumi risultano così sgargianti da essere evidentemente comici; alcuni personaggi incarnano così tanti stereotipi da risultare grotteschi. L’estetica alla Mtv viene così portata fino ad un limite estremo, tanto da essere rivoltata e criticata, sbeffeggiata e destrutturata nel suo immaginario e nei suoi falsi valori.
A sottolineare maggiormente l’intento ironico e sovversivo del film è la struttura narrativa anti-lineare adottata dall’autore. Spesso il montaggio va per associazioni mentali e talvolta le immagini risultano in contrapposizione con la voce fuori campo, basti pensare ad uno dei momenti più divertenti del film: quello in cui viene cantata una sdolcinata canzone d’amore di Britney Spears (una delle popstar più famose del decennio) su delle sequenze di rapine, sparatorie e sangue.
Come si può notare, la critica a questo mondo e alla sua estetica è talmente mordace e feroce da far sembrare paradossalmente Harmony Korine un moralista un po’ bacchettone, se non fosse per le poche scene in cui l’autore punta il bersaglio su altri luoghi e su altri aspetti della società americana, quella grigia della provincia e quella propagandistica dei predicatori religiosi dal linguaggio forzatamente giovanile.
In conclusione, proprio per lo stile particolare e per i suoi contenuti di fondo, è possibile che Spring Breakers diventi un film di culto per tutti quei giovani che volenti o nolenti sono cresciuti avendo di fianco l’immaginario pop imposto e proposto in questi anni.
(di Juri Saitta)