Torino 16 aprile 2012, ore 20:30: la sala del Cinema Massimo è gremita di persone desiderose di porre domande, le telecamere e le fotocamere sono pronte a riprendere e
inquadrare, tutti rimangano in attesa di vedere e applaudire l’ospite della serata, il maestro della settima arte Roger Corman, presente in occasione di una retrospettiva che Torino, Bologna e Roma gli hanno dedicato.
Regista e produttore soprattutto di B movies a basso costo, Corman è per diversi motivi una delle personalità più importanti e significative della storia del cinema.
In primo luogo perché, come afferma Peter Bogdanovich nel documentario Corman’s World – Exploits of a Hollywood Rebel di Alex Stapleton, è difficile immaginare la tanto venerata New Hollywood senza la sua figura, in quanto molti autori e attori sono passati dalle sue produzioni e dai suoi aiuti, come lo stesso Bogdanovich, Coppola, Dante, Scorsese, Nicholson, De Niro, solo per fare qualche esempio.
Inoltre, Roger Corman è stato uno dei produttori e dei registi indipendenti più prolifici della storia, un regista che ha esplorato i generi più disparati (l’horror, il noir, la fantascienza, il fantasy, la commedia nera, ecc.) e che si è spesso confrontato con diverse tematiche, anche importanti, come il razzismo (L’odio esplode a Dallas, 1962), la droga (Il serpente di fuoco, 1967), la metafisica (L’uomo con gli occhi a raggi X, 1963), la paura della morte (La legge del mitra, 1958), con una regia dal ritmo perfetto e dalle idee originali e funzionali alla narrazione.
Non è un caso che il cuore della “filosofia cormaniana” sostiene che in molte opere cinematografiche d’intrattenimento e apparentemente del tutto disimpegnate coesistono spesso un testo e un sotto-testo, ovvero un contenuto immediatamente riconoscibile e uno più latente e nascosto, il quale risulta però quello più importante.
Anche il basso budget dei lavori di Corman ha una precisa e determinata valenza etica e politica (e così anche autoriale): il regista riteneva e ritiene che spendere 30-40 milioni di dollari per un solo film sia uno spreco ingiusto e inutile, in quanto con quello stesso denaro si possono migliorare alcuni servizi sociali.
L’autore ha approfondito e ampliato molti di questi concetti durante il dibattito con il pubblico di Torino, aggiungendo anche qualche aneddoto curioso ed esplicativo.
In primis, Corman si è soffermato proprio sul basso budget e sull’impegno tematico di alcune sue pellicole: «Quando realizzai L’odio esplode a Dallas mi accorsi che erano proprio il basso costo delle mie produzioni e il poco tempo a disposizione per le riprese a permettermi di riflettere direttamente su temi ancora vivi e attuali, in quanto scrivere e dirigere in poche settimane aiuta a non alienarsi dalla realtà» dichiara l’autore.
Inoltre, l’impegno di alcuni suoi film deriva da una profonda necessità artistica e professionale, tanto che «dopo aver finito il ciclo su Edgar Allan Poe mi resi conto di correre il rischio di ripetermi. Decisi così scendere per le strade ad affrontare la realtà e l’attualità con I selvaggi e Il serpente di fuoco, due film sulla controcultura degli anni ’60; il primo su un gruppo di giovani motociclisti, il secondo sulla LSD. Inoltre, per poter capire meglio le sensazioni che suscita quel tipo di droga, la provai io stesso e mi accorsi che nessun film poteva restituire a pieno quell’esperienza, quel “viaggio”. Per farlo, io, Jack Nicholson e Dennis Hopper confrontammo le nostre allucinazioni e infine Jack scrisse la sceneggiatura» racconta Corman, il quale sembra che consciamente o inconsciamente abbia lontanamente seguito il metodo di scrittura che operarono Bunuel e Dalì per Un chien andalou (1929), quando si confrontarono sui loro sogni e sulle loro libere associazioni mentali, dando vita ad una pellicola volutamente allucinante, manifesto cinematografico del surrealismo.
Inevitabilmente, The Trip (titolo originale de Il serpente di fuoco) ebbe problemi con la censura, in quanto come racconta il regista, «subì diversi tagli in distribuzione per paura che facesse propaganda e pubblicità alla LSD».
Roger Corman ha inoltre esplorato i meandri della mente umana attraverso l’horror e il fantasy, soprattutto nelle trasposizioni cinematografiche dei racconti di Edgar Allan Poe, a cominciare dalla scelta dello sceneggiatore: «Decisi di lavorare con Richard Matheson non solo perché mi erano piaciuti molto i suoi racconti, le sue novelle e le sue sceneggiature, ma soprattutto perché avevamo la stessa opinione su Poe. Ritenevamo, infatti, che lo scrittore fosse un pre-freudiano, con la tematica ben presente e piuttosto definita dell’inconscio» afferma l’autore, ricordando così la sua opinione sulla compresenza del testo e del sotto-testo nel cinema e nel racconto di genere.
Non si deve dimenticare, però, che Corman è stato anche un autore ricco d’idee e che il linguaggio cinematografico dei suoi film è spesso molto interessante, colto e persino raffinato, basti pensare ad esempio alla fotografia: «Per l’impianto visivo dei film su Edgar Allan Poe» , spiega il regista, «mi sono ispirato alla pittura. Non tanto a quella degli artisti americani, quanto a quella degli italiani, soprattutto di Caravaggio, per il modo con cui giocava con le luci e il chiaroscuro».
A confermare ulteriormente il suo valore di cineasta sono i suoi gusti di spettatore. Amante del cinema d’autore internazionale, Corman distribuì con la New World Picture (casa di produzione che fondò nel 1970) i film di Fellini, Bergman e Kurosawa: «Ho sempre adorato il cinema d’autore, un tipo di cinema che a mio parere negli Stati Uniti non veniva distribuito adeguatamente. Così decisi di provare a proiettare Sussurri e grida nei drive-in durante la stagione autunnale. A livello commerciale il risultato non fu eccezionale, ma comunque molto buono per il tipo di film proposto, tanto che ricevemmo una lettera di Ingmar Bergman che ci ringraziava e si congratulava con noi» racconta il regista.
Se finora la concentrazione è andata sul “sotto-testo” cormaniano, sul suo impegno tematico e formale, non si può e non si deve nascondere che il suo cinema è in primo luogo un divertimento sano e un gioco vivace, non solo per il pubblico, ma anche per la troupe che ci lavora. Lo dimostra il regista stesso raccontando la genesi de La piccola bottega degli orrori: «Il film è diventato leggendario anche per il modo con cui è stato girato. Affittai un set che stava per essere smantellato e chiesi a Charles B. Griffith di scrivere in pochissimo tempo una sceneggiatura legata a quel set, un soggetto che unisse l’horror e la commedia. Girammo la pellicola in due giorni e una notte. Il film venne molto bene, con personaggi particolarizzati e un ritmo serrato grazie al fatto che tutti coloro che parteciparono al progetto facevano parte di un entourage di amici che si conoscevano l’un con l’altro, tanto che Griffith già prima di sviluppare la sceneggiatura aveva stabilito i ruoli di tutti gli attori. È una pellicola nata come un gioco e un divertimento, ed è proprio questo spirito ad aver dato l’impronta al film».
La dimensione ludica e in qualche modo artigianale appena spiegata rimanda quasi inevitabilmente all’origine del cinema, quando i Melies e i Porter giravano con serialità e, presumibilmente, con divertimento le loro pellicole, attuando al tempo stesso sperimentazioni tecniche e linguistiche.
Lo spirito giocoso ed eccezionalmente vitale di molta produzione cormaniana ricorda inoltre l’entusiasmo giovanile e più specificamente quello dei registi ai loro esordi. D’altronde, Corman ha sempre dimostrato molta attenzione per le nuove generazioni, sia come regista (molti dei suoi lavori sono dedicati alla ribellione adolescenziale) che come produttore, in quanto ha continuato ad incoraggiare, aiutare e promuovere i progetti degli aspiranti cineasti, della Nuova Hollywood ma non solo. Basti pensare ai registi – alcuni diventati celebri, altri meno – che hanno esordito con la New World Pictures, come ad esempio Ron Howard, Jonathan Kaplan e George Armitage.
Proprio alla luce di tutto ciò la domanda del pubblico è sorta spontanea: cosa consiglia Corman ai ragazzi che vogliono dedicarsi al cinema, specialmente a quello indipendente e di genere?
«Oggi, il film di genere nell’ambito del cinema indipendente negli Stati Uniti e in Europa viene accantonato. Tuttavia si potrebbe ancora creare uno spazio prendendo spunto dalle nuove tecnologie, come ad esempio il montaggio digitale, che sono meno pesanti e meno costose. Tali film, inoltre, potrebbero essere distribuiti sulla rete, la quale costituisce una valida alternativa alle sale cinematografiche» risponde il regista 86enne, dimostrando ancora una volta la sua energia e vitalità, oltre che il suo desiderio di aggiornarsi e dedicarsi al cinema che verrà.
Così, riaffiorano alla mente i nomi di alcuni pionieri del cinema, che mentre lavorano al presente preparavano il futuro.
Questo, infine, è uno dei principali motivi per cui l’opera e il lavoro di Roger Corman – indipendentemente dall’effettivo valore estetico di ogni suo film – meritano di essere rivisti, celebrati e ricordati. In definitiva di entrare nella storia del cinema.
(di Juri Saitta)