A Spaziocinema fanno da sempre le cose in grande, e, ancora una volta, ospite d’onore del seminario di filmmaking organizzato dal Laboratorio Probabile Bellamy sarà un regista di primo piano. Per la terza edizione, sostenuta quest’anno dal Comune di Celle Ligure, la Genova-Liguria Film Commission e Nuovofilmstudio, si è infatti puntato sul torinese Daniele Gaglianone, il quale lavorerà fianco a fianco con i venti prescelti in una quattro giorni intensiva dal 29 marzo al 1 aprile.
Difficile trovare uomo più adatto. Quarantacinque anni, già sceneggiatore di Gianni Amelio e documentarista, Gaglianone rappresenta il prototipo del filmmaker indipendente maturato a pane, corti e buone letture: un regista di budget poveri, di attori semi-professionisti e racconti frammentati ed ellittici, un cantore di piccole storie senza via d’uscita tra le rovine – materiali e spirituali – della nostra Italia post-industriale in declino.
Quattro finora i suoi lungometraggi di finzione, tutti ben accolti da critica e platee festivaliere all’interno del triangolo Cannes-Locarno-Venezia. A cominciare dall’esordio, I nostri anni (2000), viaggio ipnotico nei meandri della memoria, tra passato bellico e malinconie presenti, attraverso l’esemplare vicenda di due vecchi ex-partigiani imbattutisi in un fascista dalle mani insanguinate: qui la resa dei conti senile è spezzata in una narrazione labirintica, nervosa, lontana tanto dall’emotività ruffiana quanto dalle facilonerie del neo-neorealismo straccione. Il successivo Nemmeno il destino (2004) si consuma invece in una Torino inospitale, specchio opaco di solitudine ed emarginazione: al centro del racconto, carico di reminiscenze faulkneriane, il dramma di tre ragazzi costretti a languire nel limbo di una gioventù bruciata per mancanza di alternative. Nel cortocircuito dei piani narrativi (reali e immaginari), si delineano perciò con chiarezza i contorni di un cinema dell’”innocenza perduta”, in cui Gaglianone, sotto le vesti sgualcite del poeta di strada, si interroga con profonda coerenza sul potere nefasto dei ricordi, l’invasività dei drammi del passato ed il peso della colpa individuale. Un mondo compresso e desolato, insomma, in cui i rapporti tra padri e figli marciscono nella penombra degli alloggi popolari, la fuga è sistematicamente negata ed i giovani protagonisti – bambini, adolescenti o uomini incompiuti – si dibattono vagando per strade deserte, in attesa dell’evento improvviso in grado di far detonare la tragedia ed alterare l’immobilità dell’orizzonte.
Quest’immensa periferia dei sentimenti torna inesorabilmente in Pietro (2010), ritratto amaro di un trentenne ritardato, via crucis austera in uno scenario di macerie dove neppure la macchina da presa sembra trovare collocazione stabile. E torna, arsa dal sole, in Ruggine (2011), ultimo tassello di un mosaico di tormenti metropolitani a cavallo tra passato e presente. Prodotto da Fandango ed interpretato da un cast altisonante (Accorsi, Mastandrea, Solarino e Timi, nell’ordine), il film, incentrato su un gruppo di adulti uniti da un fosco segreto, ha colpito gli spettatori veneziani con i suoi toni da fiaba nera e segnato l’incontro tra Gaglianone ed il grande pubblico. Un incontro a lungo rimandato, certo, ma che ha avuto il merito di svelare finalmente un talento rabbioso, spesso respingente, ma restio al compromesso.
I partecipanti a Spaziocinema non avranno che da ascoltare, e riflettere.