Sette opere di misericordia è l’esordio nel lungometraggio di finzione di Gianluca e Massimiliano De Serio, giovani registi che hanno già realizzato diversi cortometraggi e documentari.
Incentrato sull’incontro tra una giovane clandestina e un signore anziano in fin di vita, il film ha uno sguardo molto lucido, che non nasconde la realtà ma che non la giudica, grazie anche ad una regia molto sobria e rigorosa, che per alcuni aspetti visivi e sonori ricorda il cinema dei fratelli Dardenne, caratteristica rara nell’attuale cinema italiano.
In occasione della proiezione all’Eden di Pegli ho intervistato Massimiliano De Serio.
Com’è nata l’idea del film?
Il progetto è nato qualche anno fa, in un periodo difficile per me e mio fratello perché nostro nonno era malato e in fin di vita. Abbiamo assistito al mutamento del suo corpo e “sperimentato” il sentimento della misericordia, che per noi significa prendersi cura dell’altro. La nostra intenzione è stata quella di ritrarre questo sentimento in un film.
La vostra è una pellicola praticamente senza musica e con pochissimi dialoghi, in cui però i rumori sono molto importanti. Perché avete scelto questo linguaggio?
Abbiamo voluto rappresentare il sentimento della misericordia basato sul corpo in modo estremo, senza musica e senza dialoghi, in cui i rumori diventassero la colonna sonora del film.
Le didascalie presenti nell’opera sono spesso in contrapposizione alle immagini rappresentate. Qual è il motivo di tale scelta?
Il nostro è stato un approccio antididascalico. Nel film sono presenti sia a livello di contenuto che di stile diversi stereotipi e cliché “ribaltati”.Le didascalie fanno parte di tale metodo insieme ad altre scelte, tra cui alcuni campo/controcampo in cui i personaggi guardano in macchina o certe panoramiche che offuscano l’ambiente invece di rappresentarlo perché volutamente “bruciate”.
Vi siete ispirati a qualche regista in particolare?
Inconsciamente ci sono state delle ri-attualizzazioni di alcuni film e immagini che ci hanno colpito e cresciuto, ma in questo caso il riferimento è soprattutto pittorico.
Ci siamo ispirati all’opera di Caravaggio Sette opere di misericordia, che per noi è stata una vera e propria guida estetica.
Nella vostra carriera avete realizzato cortometraggi e documentari. I vostri lavori precedenti hanno influenzato in qualche modo il film?
I nostri documentari, cortometraggi e le installazioni d’arte sono sempre stati dei tentativi di andare oltre i loro rispettivi “generi” e hanno influenzato la pellicola. Sette opere di misericordia è il punto d’arrivo di tutto il corpus dei nostri lavori precedenti, ma allo stesso tempo anche il punto di partenza per un nuovo percorso. Inoltre, abbiamo
sempre avuto un fil rouge dettato dalla misericordia: per noi fare cinema è uno scambio reciproco, non solo materiale, ma anche molto umano.
(di Juri Saitta)