Non operazione nostalgia, ma omaggio appassionato alle proprie radici culturali. Non bio-pic dedicato al pioniere del cinema fantastico, ma una favola per l’infanzia capace di tradurre in metafora della modernità le numerose citazioni dei film che si sono amati.
La dimensione astorica di Hugo Cabret è del resto certificata da quel “Festival del cinema muto” dove il giovane protagonista fa vivere alla sua bibliofila coetanea l’avventura della scoperta del racconto per immagini, mentre Scorsese testimonia con l’aggiunta di quel incongruo aggettivo (“muto”) l’evidenza della prospettiva di un gioco della memoria che guarda quel tempo (l’azione si svolge presumibilmente nel 1925) come qualcosa di inesorabilmente coniugato al passato. Ma Hugo Cabret non è The Artist e tanto meno le inquietudini artistiche di Martin Scorsese sono paragonabili all’estetizzante operazione “retrò” messa in scena in elegante bianco e nero dal francese Michel Hazanavicius. Pur nell’evidenza di un gusto citazionista che alla lunga può risultare un po’ stucchevole, quello di Scorsese è comunque un film d’autore, capace di costruire un mondo meraviglioso e non solo di evocarne le radici storiche.
Il cinema come arte meccanica (artigianato?) per eccellenza si rispecchia non solo nel trionfo d’immagini dedicate all’era della tecnica (gli ingranaggi degli orologi: sia quelli costruiti da papà Jude Law, sia quelli amorevolmente accuditi da Hugo per eredità di zio Claude; i treni che entrano in stazione nella storia del cinema come negli incubi e nella realtà del protagonista; i giocattoli a molla e le protesi più o meno difettose; soprattutto l’antropomorfico robot che sta al centro del racconto e sul cui sguardo il film si conclude), ma trova compiuta espressione nel virtuosismo futuribile dei movimenti della cinepresa di Martin Scorsese, il quale si serve dei ritrovati più moderni della tecnologia cinematografica (montaggio digitale, piani sequenza “impossibili”, lo stesso 3D) per costruire un universo d’immagini e di suoni nel quale possano rispecchiarsi sia l’amore per i grandi romanzi d’avventura (da Robin Hood a Jules Verne), mescolati con il realismo sociale delle più celebri opere di Charles Dickens, sia soprattutto la testimonianza del debito emotivo ai pionieri che hanno aperta la strada a quel meraviglioso giocattolo che è il cinema: da Georges Méliès a Harold Lloyd, ma anche dai Lumière a Charlie Chaplin.
Un cinema, quello di cui parla Scorsese nell’atto stesso di farlo, inesorabilmente trasformato dalla realtà storica esterna (la prima Guerra Mondiale), ma capace di ritornare in tutto il suo splendore nello sguardo contemporaneo degli uomini (e dei bambini) del terzo millennio, ai quali Scorsese dedica idealmente la sua prima favola cinematografica, concludendola significativamente sullo sguardo del robot che ha ripreso infine a funzionare. Il cinematografo, caratterizzante forma d’arte della rivoluzione industriale, può far proprie le più meravigliose invenzioni tecniche, ma per essere davvero arte, sembra ammonire Scorsese inquadrando quello sguardo, non deve mai dimenticare che l’arte è fatta dagli uomini e per gli uomini.
E questo è valido non solo per l’immaginario poetico dei pionieri, quale Georges Méliès, ma anche per i suoi moderni apologeti, perché per nostra gioia Martin Scorsese non dimentica mai, neppure in una favola per bambini quale Hugo Cabret, di essere l’autore di film “adulti”, capaci di parlare il linguaggio universale del cinema, come Quei bravi ragazzi o Gangs of New York.
Hugo Cabret
(Hugo, Stati Uniti, 2011)
Regia: Martin Scorsese – Soggetto: dal romanzo illustrato di Brian Selznick
Sceneggiatura: John Logan – Fotografia: Robert Richardson – Musica: Howard Shore Scenografia: Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo
Costumi: Sandy Powell e Fola Solanke
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Interpreti: Asa Butterfield (Hugo Cabret) – Chloë Moretz (Isabelle) – Ben Kingsley (George Mélies) – Sacha Baron Cohen (ispettore Gustav) – Jude Law (padre di Hugo) – Christopher Lee (monsieur Labisse) – Helen McCrory (mamma Jeanne) – Michael Stuhlbarg (René Tabard) – Ray Winstone (zio Claude) – Richard Griffiths (monsieur Frick)
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: due ore e 7 minuti