Chi è
David Cronenberg nasce a Toronto (Canada) il 15 marzo 1943 in una famiglia ebraica, politicamente progressista. Si laurea in lettere e studia scienze. Per un anno viaggia in Europa, risiedendo soprattutto a Copenaghen e a Londra, da dove torna in patria fortemente influenzato dai fermenti culturali degli anni Sessanta. Scrive racconti di fantascienza e scopre ben presto il cinema. Gira alcuni film senza produttore, con attori assoldati nel college dove studia. Il suo primo film professionale è Il demone sotto la pelle. Nel 2002 è stato nominato “Officer of the Order of Canada”. Nel 2008, realizza due progetti extra-cinematografici: l’allestimento della mostra Chromosomes al Palazzo delle Esposizioni di Roma e la regia dell’opera The Fly a Los Angeles e al teatro Châtelet di Parigi. Il suo ultimo film, Cosmopolis, è tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo
FILMOGRAFIA
Cortometraggi
1966: Transfer – 1967: From the Drain
Lungometraggi
1969: Stereo – 1970: Crimini del futuro (Crimes of the Future) – 1975: Il demone sotto la pelle (The Parasite Murders) – 1976: Rabid sete di sangue (Rabid) – 1979: Veloci di mestiere (Fast Company) – La covata malefica (The Brood) – 1980: Scanners – 1982: Videodrome – 1983: La zona morta (The Dead Zone) – 1986: La mosca (The Fly) – 1988: Inseparabili (Dead Ringers) – 1991: Il pasto nudo (Nakes Lunch) – 1993: M. Butterfly – 1996: Crash – 1999: eXistenZ – 2002: Spider – 2005: A History of Violence – 2007: La promessa dell’assassino (Eastern Promises) – 2011: A Dangerous Method – 2012: Cosmopolis (prossima uscita).
Televisione
1971: Tourettes – Letter from Michelangelo – Jim Ritcher Sculptor Documentari per la tv canadese) – 1972: Don Valley – Fort York – Winter Garden – Scarborough Bluff – In the Dirt (televisione canadese) – Secret Weapons (per la serie “Program X”) – 1975: The Victim (per la serie “Pep Show”) – The Lie Chair (per la serie “Peep Show”) – 1976: The Italian Machine (per “Tele Play”) – 2000: Camera – 2007: At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World (episodio di “Chacun son cinema”)
IL CINEMA E L’ARTISTA
Il cinema d’autore
– A un certo punto, mi sono reso conto che ciò che mi piaceva dei registi classici degli anni Sessanta e Settanta, come Bergman e Fellini, era il fatto che, quando andavi a vedere i loro film, entravi in un mondo creato da loro.
– La mia presunzione era che i miei film diventassero, nel mondo della cinematografia, delle creature emergenti, senza precedenti e neanche lontanamente presagite.
– Una delle cose che vuoi fare con qualsiasi genere di arte è scoprire a cosa stai pensando, ciò che per te è importante, ciò che ti disturba. Molte persone per lo stesso motivo si vanno a confessare, o parlano con gli amici al telefono.
I film
– Non credo che i miei film siano radicali. Presento al pubblico delle immagini e delle situazioni che devono essere mostrate, non c’è altro modo di farlo. Non lo faccio con l’intenzione di schoccare.
– Io penso al cinema horror come a un’arte, come a un cinema capace di metterti di fronte alla realtà.
– Non ho avuto bisogno che i critici prendessero sul serio i miei film per sopravvivere, perché i patiti dell’horror riconoscevano in quei film qualcosa di unico.
– Fai un film per scoprire che cosa ti ha spinto a farlo.
– I miei film hanno origine dalla tradizione del meraviglioso e dell’illusione, dal fantastico. Tra Lumière e Méliès, io provengo dalla parte di Méliès.
– Parte del mio viaggio cinematografico l’ho fatto per provare e per scoprire i legami tra il mondo fisico e quello spirituale.
Arte e filosofia
– Come artista, l’individuo non è un membro della società. Un artista ha l’obbligo di esplorare ogni aspetto dell’esperienza umana, quindi nel momento che sei un artista, non sei un cittadino. Non hai la stessa responsabilità sociale di un cittadino. Non hai, di fatto, nessun tipo di responsabilità. Per un artista, responsabilità significa permettersi la libertà completa.
– Se intendi fare dell’arte, devi esplorare alcuni aspetti della tua vita senza riferimento a istanze o a posizioni politiche.
– Non sono un freudiano, ma credo nell’equazione civiltà uguale repressione.
– Quando sei nel fango puoi vedere solo fango. Se in qualche modo riesci a fluttuarci sopra, vedi ancora fango, ma lo vedi da una diversa prospettiva; e vedi anche altre cose. Questa è la consolazione della filosofia.
Dichiarazioni tratte da Il cinema secondo Cronenberg, a cura di Chris Rodney, Pratiche Editrice e dalla monografia di Gianni Canova per “Il Castoro Cinema”.
CRONENBERG, DALL’HORROR ALLA CLASSICITÀ
Da Toronto a Hollywood, via Copenaghen e Londra. Il percorso di David Cronenberg verso il cinema non è diretto come quello dei “cinèphiles”, della cui schiera egli non fece mai parte; ma nasce dall’incrocio tra molteplici sollecitazioni culturali: la letteratura che aveva imparato a conoscere nella libreria del padre e la giovanile ambizione di diventare scrittore, la filosofia e la biochimica, la passione per la tecnica e il mai dismesso interesse per la psiche umana. Nato al cinema come film-maker undergroud, ai tempi della contestazione giovanile, per anni considerato soprattutto un regista di film horror, Cronenberg si è confrontato negli ultimi anni (da A History of Violence a A Dangerous Method) con i temi e le modalità espressive della classicità, consegnando allo schermo opere di grande maturità espressiva, senza per questo mai rinunciare alla sua intima vocazione trasgressiva e al gusto per un linguaggio sovente sperimentale.
David Cronenberg non è mai stato un “metteur en scène”, ma è un autore nel senso più europeo del termine. Un autore contemporaneo che ha visto nel cinema di “genere” la via maestra per accedere alle contraddittorie radici delle pulsioni umane e che considera il film come una realtà complessa fatta di immagini, ma anche di parole, di soluzioni figurative sempre in libero dialogo con la colonna sonora che le accompagna (parole, musica, rumori, ecc.). «Il cinema muto era una forma matura sola a metà», ha detto Cronenberg una volta: «È come un girino non ancora divenuto rospo». E, per rimanere nella metafora, proprio di “rospi” è abitata la sua filmografia, punteggiata da opere “mutanti” che si caratterizzano sempre per l’articolata complessità di tutti gli elementi che compongono la loro articolata struttura linguistica.
Coerentemente con l’immagine del rospo, infatti, il tema che più ossessivamente ritorna nei suoi film è proprio quello della mutazione, del diventare altro da sé. Per azione della scienza come succede nei suoi primi lungometraggi (Stereo, Crimes of the Future) o per intervento di un agente esterno (Il demone sotto la pelle, Rabid sete di sangue); per pulsione inconscia (Brood – La covata malefica, La zona morta) o per apporto della tecnologia (Videodrome, La mosca): in un crescendo sempre più complesso e sofisticato, che progressivamente cancella il prima e il poi della mutazione, attraverso lo sdoppiamento gemellare di Gli inseparabili o la confusione dei sessi di M. Butterfly, sino ai giochi erotico-meccanici di Crash o a quelli solo apparentemente virtuali di eXistenZ.
Dal suo primo cortometraggio (Transfer), dedicato al rapporto ossessivo di un paziente con il proprio psichiatra, al sinora ultimo lungometraggio (The Dangerous Method), in cui racconta senza prendere esplicita posizione a favore di nessuno dei due i conflittuali rapporti tra Freud e Jung, David Cronenberg non ha mai cessato d’indagare il mistero dell’anima umana, ma lo ha sempre fatto in modo squisitamente cinematografico: cioè, senza mai indulgere al sentenzioso o alla programmatica assunzione di una tesi a-priori, ma portando con insistenza sullo schermo personaggi comunque molto concreti, fatti di carne e ossa, di fisicità e di sentimenti mai astratti. È proprio questa costante centralità del corpo, visto nella sua concretezza comportamentale, ciò che maggiormente inquieta ed emoziona nel suo cinema d’autore. E ciò accade tanto più il suo cinema dimette progressivamente ogni compiacimento sperimentale, l’aspirazione a essere originale a ogni costo, per sintetizzare la permanente complessità del suo modo di raccontare il mondo e di descrivere la natura umana in un linguaggio che ambisce alla classicità e che non ha ormai più bisogno di esibire se stesso per rivelarsi in modo compiuto.
È soprattutto per questo che, contrariamente a quanto accade ad altri registi della sua generazione, la filmografia di Cronenberg appare oggi come un percorso in crescendo: protesa verso la conquista di una semplicità di sguardo su un universo sempre in movimento. E così, pur senza mai negare nulla della propria ricerca passata, egli giunge alla piena e sempre ricercata maturità espressiva. Dapprima con A History of Violence, che eleva a ossessiva riflessione sull’identità individuale il viaggio “infernale” di Viggo Mortensen nel mondo archetipico del sesso e dei sensi di colpa “famigliari”, in un affascinante (anche per lo spettatore che lo scopre all’unisono con lui) groviglio di paura e di piacere nei confronti della violenza che è in lui. Poi, con i corporei e complessi riti che si articolano nel clan mafioso di La promessa dell’assassino o con l’esibita oralità (fatta di parole dette o scritte, di cibo ingurgitato, di sesso vissuto o desiderato, anche surrogato con un sigaro da succhiare) della “finta” biografia storica di A Dangerous Method.
Autore fondamentalmente pessimista, ma sempre innamorato dell’umanità, con il trascorrere degli anni Cronenberg allarga sempre più lo sguardo sul fango dell’esistenza (la metafora è sua, come quella del rospo), ma così facendo giunge a vedere il mondo, e gli esseri umani soprattutto, da un punto di vista più ampio, che comprende anche l’altro da sé. Proprio come s’addice ai classici.
Mentre nei film precedenti i suoi temi preferiti (il rapporto mente e corpo, la mutazione genetica insita nel concetto stesso di modernità, il processo d’incorporazione che la macchina e la tecnologica attuano nei confronti degli esseri umani) venivano sviluppati di preferenza su un piano di ricerca formale (pur con sequenze sovente entusiasmanti), con l’avvento del terzo millennio il cinema di Cronenberg sembra essere giunto a una personale e felice sintesi di forma e struttura narrativa, concretizzandosi in film che non guardano più solo al cinema, e in particolare a quello di “genere”. Come si addice all’autore che ha sempre voluto essere con tenacia e determinazione, Cronenberg è giunto con i suoi ultimi film a prefigurare un mondo intero, dove la conflittualità tra l’Io e l’Inconscio, lungi dall’essere negata, si concretizza nella capacità di tradurre in immagini concrete i concetti astratti: proprio come accade nei sogni ai quali egli continua ad assimilare il suo cinema stesso, che pur è sempre molto cosciente dell’elemento fisico che lo sottende.
(di Aldo Viganò)